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SALUTE E AMBIENTE

5G: un salto nel buio

By 7 Febbraio 2021Ottobre 30th, 2021No Comments

(Tratto dal Volume 1 di Simbiosi. Puoi acquistarlo qui)

 

Con l’avvento della tecnologia di “quinta generazione” (5G) assisteremo ad una rivoluzione epocale. Saremo testimoni di qualcosa che andrà ben oltre la semplice telefonia mobile, un vero e proprio cambio radicale nelle abitudini di vita delle persone. A livello globale decollerà la “smart city economy” con indotti economici che, in dollari, si stimano possano coinvolgere, entro il 2035, cifre a tredici zeri.

Il biglietto da visita del 5G consiste nella capacità di accelerare la trasmissione di imponenti blocchi di dati, abbreviare i tempi di reazione, ma anche aumentare il numero di dispositivi finali collegati in rete, fino ad un milione per kmq che, tradotto, significa uno ogni mq. In tal modo si aprono prospettive per nuove applicazioni: sarà ad esempio possibile pilotare in tempo reale e quasi senza ritardi macchine nell’industria produttiva o vettori di trasporto autonomi. Possono inoltre essere creati settori di rete virtuali, e “device intelligenti” potranno comunicare fra loro indipendentemente dalle nostre richieste, in un certo senso sostituendosi all’uomo, avviando il famoso internet delle cose (IoT).

La tecnica di radiocomunicazione della tecnologia 5G consente di avere reti molto più flessibili ed efficienti rispetto al 4G. Le velocità di trasmissione dati della tecnologia 4G si attestano intorno ai 100 Megabit al secondo, mentre in futuro il 5G arriverà a prestazioni 100 volte superiori (10 Gigabit al secondo) grazie alle onde millimetriche.

Ed è qui che si innesta il primo significativo problema che coinvolge anche il settore ambientale e sanitario.

Le frequenze in natura sono una risorsa limitata, così come l’energia: non possiamo disporne in misura arbitraria.

La rivista Le Lancet, nel 2018, ha pubblicato un grafico (Fig.1) che credo riassuma nel modo più efficace possibile l’evoluzione storica del mondo del wireless, in particolare di come è cambiato, nel corso dei decenni, il fondo elettromagnetico in relazione alle frequenze utilizzate (Bandara P., Carpenter D. 2018: Planetary electromagnetic pollution: it is time to assess its impact, The Lancet).

Fig. 1 Il fondo elettromagnetico ambientale. Bandara P., Carpenter D, The Lancet, 2018.

Come si può notare, i vari settori colorati, i quali rappresentano la situazione nelle varie epoche storiche, dai primi del ‘900 a oggi, hanno modificato la morfologia del grafico in modo totale: nei primi 40 anni del secolo scorso (zona verde) era presente una vera e propria “fossa” in corrispondenza delle frequenze prossime ai GHz (Giga Hertz), segnali che sono rappresentati da onde elettromagnetiche con lunghezze d’onda (distanze tra due creste consecutive) che, come ordine di grandezza, possono andare dai centimetri ai millimetri. Praticamente questi segnali, all’epoca, erano assenti nell’ambiente, i valori della densità di potenza del campo elettromagnetico (espressa in Watt/mq e riportata lungo l’asse verticale) era prossima a zero. Nei decenni lo spettro elettromagnetico si è andato riempiendo prima con i segnali radio – televisivi, a partire dagli anni ’50, poi con la telefonia mobile e le reti Wi – Fi a partire dagli anni ’80 e, quello che prima era un “avvallamento”, si è trasformato in una vera e propria “montagna”.

Il fondo ambientale è aumentato di ben 18 ordini di grandezza, un dato che non è assolutamente possibile sottovalutare. Contestualmente si è ridotta la disponibilità di un’ampia banda di frequenze, ormai saturata da numerosi servizi. Questo è uno dei motivi per i quali la nuova terra di conquista del Far West tecnologico dovrà necessariamente spostarsi più a destra nel grafico andando ad occupare le zone rimaste libere, quindi frequenze sempre più elevate e lunghezze d’onda sempre più corte.

Le nuove frequenze nella banda millimetrica sono estremamente prestazionali nel trasferimento di grandi moli di dati ad alta velocità con brevi tempi di latenza, tuttavia vengono maggiormente attenuate rispetto alle precedenti quando si propagano nell’aria o devono superare ostacoli fisici quali alberi, muri, finestre o veicoli. Per compensare, almeno in parte, queste criticità si possono utilizzare antenne adattative.

Per trasmettere in modo più mirato e flessibile i segnali, la tecnologia 5G utilizzerà antenne di nuova generazione. Le antenne adattative, composte da numerosi elementi comandati autonomamente, consentiranno di indirizzare il segnale in modo più settoriale verso l’utente o il suo dispositivo mobile rispetto alle antenne convenzionali. Questo cosiddetto «beamforming» inseguirà l’utente nei suoi spostamenti ottimizzando l’energia utilizzata nello spazio e nel tempo, con la possibilità di montare ripetitori anche su strutture flessibili come pali per lampioni e altri arredi urbani o strutture disponibili. Tuttavia questo comporterà altre inevitabili criticità: le persone che stazioneranno nelle vicinanze del fascio saranno mediamente esposte in misura maggiore anche se non sarà semplice effettuare stime previsionali proprio per la variabilità dei vari parametri fisici coinvolti con tutte le problematiche che ne conseguiranno a livello di autorizzazioni e di verifica del rispetto dei limiti di legge. Esiste un profondo dibattito tecnico su come prevedere e su come misurare questi campi elettromagnetici con forti pressioni che vengono esercitate dal mondo delle telecomunicazioni per l’adozione di metodi statistici atti a valutare l’esposizione in prossimità delle nuove Stazioni Radio Base come, ad esempio, l’introduzione di un fattore di riduzione che tenga in considerazione la probabilità di essere esposti al fascio in una data direzione. In sostanza l’idea è quella di passare da un approccio deterministico a uno probabilistico con il rischio di sottostimare l’esposizione in casi diversi da quelli “medi” del modello adottato, in particolare ciò potrebbe verificarsi nei luoghi densamente frequentati ed affollati.

La situazione è tutt’altro che definita anche sul piano strumentale, ossia sul metodo di certificazione delle misure dal momento che risulta alquanto complesso valutare la reale esposizione delle persone a seguito di fasci di onde elettromagnetiche che variano nello spazio e nel tempo. Paradossalmente sembra che il mondo scientifico sia quasi più preoccupato a non sovrastimare le esposizioni, il che semmai sarebbe un indice di qualità a livello di rispetto del principio di precauzione, piuttosto che a sottostimarle.

Come se ciò non bastasse, ulteriori complicazioni si prospettano all’orizzonte: innanzi tutto il 5G non è concepito come una tecnologia sostitutiva del 4G quanto, piuttosto, come complementare ed integrativa dello stesso con nuove potenzialità ed un inevitabile incremento del fondo ambientale elettromagnetico delle nostre città (COM(2016)588. Il 5G per l’Europa: un piano d’azione, Camera dei Deputati XVII Leg. Esame di atti e documenti dell’UE).

Inoltre le bande di frequenza che, allo stato attuale, le compagnie telefoniche si sono aggiudicate dal MISE a ottobre 2018 (694-700 MHz; 3,6-3,8 GHz e 26,5-27,5 GHz) sono in realtà “bande pioniere” che in una fase successiva verranno integrate, come confermato anche nell’Action Plane 5G dell’AGCOM (Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni), nelle gamme di frequenze più alte con particolare riferimento alle onde millimetriche nel range tra 24,25 e 86 GHz.

Ad esempio sarà particolarmente appetibile la banda di frequenze 57-64 GHz, già utilizzata in ambito militare. Oltre alle elevate velocità di trasmissione dati che possono essere raggiunte in questa parte dello spettro, la propagazione di energia nella banda 60 GHz presenta caratteristiche uniche che rendono possibili situazioni vantaggiose quali, ad esempio, un’eccellente immunità alle interferenze e la possibilità di un riutilizzo di queste frequenze.

L’interesse per questa banda deriva da un fenomeno naturale: la molecola di ossigeno atmosferico assorbe in modo particolarmente efficace l’energia elettromagnetica a 60 GHz (Fig. 2) (Report Ordance Survey, 2018: The effect of the built and natural environment of millimetric radio wave), più di quanto non avvenga alle frequenze più basse tipicamente utilizzate per le comunicazioni wireless.

Fig. 2 Attenuazione delle onde millimetriche. Report Ordance Survey, 2018.

Circa il 98 percento dell’energia trasmessa viene assorbita. Tale fenomeno, se da un lato limita fortemente la portata del segnale, dall’altro elimina anche le interferenze fra i terminali che operano nelle stesse aree geografiche.

Inoltre, proprio per questo motivo, rende possibile un riutilizzo più efficace della stessa frequenza in una regione molto localizzata dello spazio aereo. Il funzionamento quindi all’interno dello spettro di onde millimetriche a 60 GHz consente un dispiegamento molto denso e, di fatto, senza interferenze dei terminali (RF Globalnet, Aprile 2001: Comunicazioni wireless fisse a 60 GHz. Proprietà uniche di assorbimento dell’ossigeno).

Questa tecnica tuttavia solleva notevole preoccupazione sotto il profilo sanitario soprattutto alla luce di uno studio pilota apparso alcuni anni fa che meriterebbe di essere replicato su più ampia scala (Rubik B., Conference Paper – Gennaio 2015: Human short-term exposure to cell phone radiation causes changes in blood cell morphology,).

Nel caso in oggetto, su un ristretto campione di persone con un’età media di 53 anni, sono stati eseguiti prelievi di sangue dopo aver trasportato, a contatto con il corpo, uno smartphone per 45 minuti e dopo averlo utilizzato, in modo attivo, sempre per 45 minuti. Immediatamente dopo ogni prelievo i campioni sono stati fotografati al microscopio analizzando, nello specifico, la morfologia dei globuli rossi.

I risultati hanno mostrato cambiamenti sostanziali nel sangue in nove soggetti su dieci rispetto alla situazione iniziale (Fig.3).

Fig. 3 Conformazione dei globuli rossi prima dell’esposizione. Foto di Beverly Rubik

In particolare sono emersi due stadi: dopo 45 minuti di esposizione con lo smartphone, in modalità di ricezione, indossato dai soggetti in uno zainetto, si sono verificati vistosi fenomeni di aggregazione e viscosità nei globuli rossi (Fig.4).

Fig. 4 Conformazione dei globuli rossi dopo 45 minuti di esposizione in stand by. Foto di Beverly Rubik

Successivamente all’utilizzo attivo del cellulare per altri 45 minuti i “cluster” tendenzialmente, anche se non per tutti i soggetti, si disgregavano ed emergevano cambiamenti nella forma della membrana cellulare: in una buona percentuale il profilo non era più perfettamente circolare ma presentava forme appuntite e dentellate denominate echinociti nonché una omogenizzazione nella distribuzione dei globuli rossi (Fig.5).

Fig. 5 Conformazione dei globuli rossi dopo 45 minuti di esposizione attiva. Foto di Beverly Rubik

Nel complesso, entrambi i fenomeni registrati, sono risultati più evidenti nei soggetti più anziani (Fig. 6 e 7), con una prevalenza della “clusterizzazione”, dopo aver portato addosso il cellulare tenuto in stand by, e delle modificazioni della forma dei globuli rossi, dopo l’uso attivo dello smartphone (Fig. 8).

Fig. 6 Incidenza degli effetti osservati vs. età dopo l’esposizione in stand by. Foto di Beverly Rubik

Fig. 7 Incidenza degli effetti osservati vs. età dopo l’esposizione attiva. Foto di Beverly Rubik

Fig. 8 Quadro riassuntivo degli effetti osservati. Foto di Beverly

La preoccupazione a livello sanitario nasce in particolare dal fatto che all’interno dei globuli rossi è presente l’emoglobina, una proteina responsabile del trasporto dell’ossigeno molecolare da un compartimento ad alta concentrazione ai tessuti dei distretti che ne sono più sprovvisti.

Dallo studio sembra emergere che le microonde utilizzate nella telefonia cellulare incidano sulla morfologia dei globuli rossi e questo potrebbe essere rilevante a livello di circolazione sanguigna: la formazione di aggregati e una maggiore viscosità incidono sul corretto flusso ematico. La stessa tipica forma regolare rotondeggiante dei globuli rossi è da considerarsi ottimale per la circolazione del sangue. La formazione di echinociti potrebbe compromettere il regolare flusso sanguigno così come il rilascio di ossigeno. Sarebbe interessante approfondire, come suggerito nell’articolo, se sintomatologie quali il senso di affaticamento o la scarsa capacità di concentrazione, tipicamente riscontrate nei soggetti elettrosensibili, possano essere in una qualche misura ricondotte alle situazioni sopra descritte. Laddove la futura tecnologia 5G andasse a utilizzare frequenze prossime al picco massimo di assorbimento dell’ossigeno molecolare, potremmo immaginare che tali fenomeni possano aggravarsi.

A conclusione di queste considerazioni, vorrei presentare una mia personale valutazione del problema utilizzando una tecnica matematica, già in uso in medicina, ad esempio a livello diagnostico, ma non ancora applicata, per quanto di mia conoscenza, nell’ambito dell’inquinamento elettromagnetico. Mi sto riferendo all’analisi frattale di un fenomeno (dal lat. fractus, p. pass. di frangĕre ‘spezzare’).

Senza allarmare nessuno, prometto che rimarrò su piano assolutamente divulgativo.

Partiamo dicendo che la geometria classica, quella che tutt’oggi viene studiata ed applicata, basata su linee e piani, cerchi e sfere, triangoli e parallelepipedi, è sicuramente molto comoda, ma rappresenta una forte astrazione della realtà. Un’astrazione tanto forte da risultare errata quando viene applicata ai sistemi complessi. Le nuvole non sono sfere e le montagne non sono coni: le irregolarità non sono fattori accidentali che distorcono le forme geometriche regolari, ma l’essenza stessa del mondo naturale. Un fulmine non si propaga in linea retta perché nel percorso irregolare che lo contraddistingue c’è un linguaggio geometrico che nasconde un altro tipo di regolarità, un nuovo codice a cui obbedisce la Natura che è quello della geometria frattale. Negli ultimi anni abbiamo scoperto che il cuore e altri sistemi fisiologici si comportano in modo irregolare quando sono giovani e in buona salute (Le Scienze Ed., 1991: Il Caos: le leggi del disordine). Al contrario, un aumento della regolarità del funzionamento si accompagna spesso alla vecchiaia e a evoluzioni patologiche. L’irregolarità e l’imprevedibilità, connotazioni tipiche dei sistemi caotici, sono caratteristiche importanti dello stato di salute. Fra gli anni ’80 e gli anni ’90 abbiamo assistito ad una notevole proliferazione nella letteratura medica di ricercatori che hanno cominciato ad applicare queste nuove tecniche geometrico-matematiche nella diagnostica: cito solo uno fra i tanti casi, quello di due patologi canadesi (Mac Aulay e Palcic), i quali riuscirono a formulare diagnosi utilizzando la forma delle lesioni pre-cancerose della cervice uterina seguendo proprio i principi della geometrica frattale (C. Mac Aulay, B. Palcic. Dicembre 1990: Fractal texture features based on optical density surface area. Use in image Analysis of cervical cells – Anal Quant Cytol Histol.).

L’indicatore principale del fatto che stiamo parlando di un sistema complesso di forma irregolare è una grandezza numerica nota come Dimensione Frattale (DF) la quale viene utilizzata dai matematici e dai fisici per definire quanto spazio viene occupato da un tale oggetto. Il concetto di dimensione si applica convenzionalmente agli oggetti della geometria classica o euclidea. Le linee hanno dimensione uno, i cerchi hanno dimensione due, le sfere hanno dimensione tre, ma i frattali hanno dimensioni (anche) frazionarie. Mentre una linea regolare euclidea occupa esattamente uno spazio a una dimensione, una linea frattale si espande all’interno di uno spazio a due dimensioni: ad esempio una linea costiera come quella dei fiordi norvegesi, estremamente irregolare, ha una dimensione compresa tra uno e due. Allo stesso modo una superficie frattale come quella di una montagna ha una dimensione che varia tra due e tre. Maggiore è la dimensione di un frattale, maggiore è la probabilità che una determinata regione di spazio contenga una porzione di quel frattale. Esistono vari modi per calcolare la DF di un oggetto. In questo caso mi limiterò solo a segnalare che, utilizzando le foto riportate nel lavoro di Beverly Rubik, analoghe a quelle delle Figg. 3, 4, 5, ho applicato il metodo del “box – counting” (Feder J. Plenum Press NY – 1988: Fractals) riportando peraltro risultati statisticamente significativi (probabilità di errore minori dello 0,05%). I risultati medi ottenuti sono stati poi raccolti nella Tab.1.

Tab. 1

Come si può facilmente osservare la DF media ottenuta nei tre casi tende progressivamente ad avvicinarsi al valore 2. Ciò corrisponde ad una riduzione della “frattalità” dal momento che il sistema si sta avvicinando ad una distribuzione regolare, omogenea dei componenti cellulari, ossia a quella di una superficie bidimensionale con poche differenziazioni strutturali. Al contrario, tanto più la dimensione si allontana dal valore due, decrescendo, tanto più evidente è il comportamento frattale della figura geometrica. In sostanza sembrerebbe confermarsi quanto emerge in letteratura: ossia la perdita di una configurazione frattale nelle strutture dell’organismo si sovrappone con il concetto di malattia che nel caso specifico può essere riconducibile agli effetti avversi legati a una minore fluidità del circolo ematico. Lo strumento matematico che ho descritto sommariamente in questo articolo, di fatto, si sta dimostrando estremamente potente, a livello trasversale, in molti settori della scienza e ritengo che a livello medico possa offrire ulteriori elementi di indagine.

Ovviamente queste conclusioni vanno prese con le dovute cautele, ma credo di poter affermare che ci siano sufficienti contenuti per investire risorse in ulteriori approfondimenti e, sicuramente, per applicare il Principio di Precauzione, soprattutto alle soglie dell’introduzione di una tecnologia rispetto alla quale non esiste un’adeguata valutazione sanitaria da parte degli organi competenti.

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Fausto Bersani Greggio

Fausto Bersani Greggio

Laureato in Fisica all’Università di Bologna, è stato associato all’I.N.F.N. (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) dal 1995 al 2007 per collaborazioni ai progetti di ricerca degli esperimenti L.V.D. (Large Volume Detector) e O.P.E.R.A. (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) c/o i L.N.G.S. (Laboratori Nazionali del Gran Sasso). Dal 1994 al 2002, ha svolto presso l’Università degli Studi di Urbino l’attività di collaboratore del C.S.A.A.E. (Centro Sistemi Audiovisivi Acustici ed Elettromagnetici) per lo sviluppo di ricerche nel campo dell’inquinamento elettromagnetico e sulle fonti di energie alternative. Attualmente è docente di ruolo, coordinatore disciplinare del Dipartimento di Fisica e responsabile del Laboratorio di Fisica c/o il Liceo Scientifico A. Volta di Riccione. È inoltre socio dell’I.S.D.E. (International Society of Doctors for the Environment) e consulente della Federconsumatori della Provincia di Rimini per quanto riguarda l’inquinamento elettromagnetico. È autore di oltre 70 pubblicazioni scientifiche e divulgative.

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