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(Tratto dal Volume 1 di Simbiosi. Puoi acquistarlo da qui.)

In Trentino, padre e figlio sono stati aggrediti da un orso mentre passeggiavano in un bosco. La Provincia di Trento, per mano del suo presidente Maurizio Fugatti, ha emesso un’ordinanza che prevede l’abbattimento dell’animale (N. d. R ordinanza bloccata a seguito di un ricorso al TAR). Puntuale come ogni anno si ripresenta l’annoso dibattito sulla presenza degli orsi all’interno della provincia autonoma.

Da tempo ormai seguo con attenzione i programmi televisivi che ospitano duelli all’ultimo sangue tra illustri opinionisti che sono a favore o contro gli orsi in Trentino. Non si parla mai però del fatto che gli orsi, sulle Alpi italiane, non ci sono arrivati da soli: sono stati i Trentini stessi attuando il progetto “Life Ursus” a identificare habitat a loro idonei. Progetto supportato dalla Comunità Europea, tra l’altro1.

Sono state quindi impiegate le tasse di tutti i contribuenti italiani e non solo quelle dei residenti in Provincia di Trento2. Questo significa che gli orsi sono anche nostri tanto quanto dei trentini. Per questa ragione, zoofili, naturalisti, associazioni ambientaliste, hanno il diritto di insorgere per difendere una decisione che non è stata presa da loro e dalla quale si vuole oggi retrocedere.

Osservato da questo punto di vista, il problema pare sfuggire dal campo delle politiche ambientali per entrare in un’aula della Corte dei conti. Tanto è vero che il nocciolo della questione si riduce a una sola domanda: si può attuare una sorta di Life Ursus all’incontrario? E cioè promuovere un progetto mediante il quale gli orsi reintrodotti siano rispediti al mittente come se fossero un pacco postale? Ahimè, di terre selvagge, nella nostra Europa antropizzata, ne sono rimaste poche. Diamo comunque per scontato che sia possibile trovare una foresta adatta allo scopo e a quel punto bisogna chiedere alla Nazione di appartenenza se è disponibile ad accollarsi una cinquantina di orsi (un centinaio stando alle dichiarazioni del Presidente Fugatti). A tal proposito bisogna ricordare che il Parlamento sloveno ha recentemente votato a favore di una considerevole riduzione della colonia di plantigradi sloveni pari a circa un terzo degli esemplari presenti (200 orsi) sollevando le proteste degli ambientalisti3.

Quindi è molto difficile che gli Sloveni si riprendano indietro gli orsi, ma facciamo finta che siano d’accordo. Un orso sradicato dal suo territorio e immesso altrove, molto probabilmente, come si dice in gergo, andrà “in dispersione”. Ciò significa che finirà per vagare senza sosta per giorni, se non addirittura per mesi, cercando di identificare i confini del suo territorio (home range). Dovrà anche approvvigionarsi di cibo: il campo di mirtilli dove era solito sfamarsi non è più a portata di zampa. Per questo si butterà su tutto ciò che incontra. Rovisterà nei bidoni dei rifiuti, razzierà pollai o darà la caccia alle vacche al pascolo, (tutte risorse alimentari facili da reperire). Quando è stato reintrodotto il primo nucleo di orsi in Italia, una modesta decina di esemplari, sono sorti non pochi problemi. La famosa orsa Daniza è scesa dalle montagne e si è spinta fino al Lago di Garda passando la serata nel parcheggio di una pizzeria davanti agli occhi esterrefatti dei turisti. L’orso Masun è sparito nel nulla, mentre l’orsa Vida, dopo essere stata travolta da un’automobile, ha camminato fino a raggiungere l’Austria4. Senza dimenticare l’orso “Bruno” ucciso in Baviera e il povero M13 abbattuto in Svizzera. Gli orsi “in dispersione” devono essere seguiti da una squadra di forestali appositamente addestrati, quindi devono essere monitorati e dotati di un radiocollare che permetta di individuarli nel giro di poche ore. Una volta raggiunti sono dissuasi dall’aggirarsi in zone abitate, o anche solo frequentate dall’uomo, attuando tecniche che prevedono l’uso di cani e tiratori scelti che sparano proiettili di gomma. Tutto questo per dire che esportare i nostri orsi avrebbe un costo altissimo, senza contare che l’Italia farebbe una figura davvero misera davanti al mondo scientifico internazionale: prima introduciamo gli orsi e poi ce ne liberiamo. Peggio, chiediamo a un paese straniero di fare un “Life Ursus” con i nostri orsi, una barzelletta.

Un’altra ipotesi avanzata dai politici sui giornali prevede la sterilizzazione. Questo non è possibile a detta di molti esperti, fra i quali, il Professor Sandro Lovari dell’Università di Siena che ho avuto il piacere di intervistare5. L’asportazione totale delle ovaie nelle femmine suscita atteggiamenti ostili da parte dei maschi ai quali le stesse non si concedono più. Una sterilizzazione parziale che comporta la chiusura delle tube determina nelle femmine uno stato di calore permanente e induce nei maschi corteggiamenti estenuanti e combattimenti senza fine. Pare ci abbiano provato con gli elefanti ottenendo risultati disastrosi. L’ultima ipotesi consiste nel ridurre fortemente il numero degli orsi senza specificare quale sia il metodo individuato.

Riservando alcune precisazioni alle note, mi limiterò a ricordare che il numero di orsi presenti in Trentino, 66 orsi stando al Rapporto Grandi Carnivori 2019, è ancora al di sotto di quanto previsto dallo ‘Studio di fattibilità’6.Seppur lo stesso studio non sia chiarissimo sul numero definitivo di orsi, lasciando sul campo diverse ipotesi, nelle conclusioni si precisano due punti abbastanza ineludibili. Il primo è che il nucleo di plantigradi non deve essere troppo piccolo (quindi non deve scendere sotto i 79/118 individui)7 il secondo è che gli orsi trentini, (rientrando in quella che i biologi chiamano una “metapopolazione”) dovranno essere collegati a altri gruppi di orsi presenti in Europa (Austria, Slovenia…) attraverso la creazione di corridoi ecologici. Se questi fossero stati realizzati avrebbero permesso il transito di orsi dalla colonia italiana a un’altra (e viceversa) migliorando il patrimonio genetico e, al contempo, avrebbero favorito la colonizzazione di tutto l’arco alpino diminuendo sensibilmente la pressione che oggi gli orsi esercitano sulla Provincia di Trento8.

orso bruno roberto bianchi davide celli simbiosi magazine

Orso Bruno. Olio su tela di Roberto Bianchi

Torniamo al primo punto. Già negli anni ’90, Carlo Consiglio metteva in guardia il mondo venatorio dal cacciare piccole popolazioni di animali: “Una popolazione cacciata della grandezza di 50 animali avrà raggiunto dopo 50 anni una riduzione dell’eterozigosi (cioè della frequenza di coppie di geni alleli differenti) al 72-87% di quella originaria”9.
Il Professor Consiglio si riferiva alla caccia e l’orso non è cacciato in Trentino, ma è pur vero che se sommiamo il numero di orsi catturati, abbattuti, deceduti durante la cattura o che muoiono per cause antropiche o naturali, si può dire che in termini di mortalità è come se lo fosse. Che ci sia un problema di natura genetica che coinvolge gli orsi alpini è stato confermato da notizie apparse sulla stampa10 e dalle parole dell’ex assessore Michele Dallapiccola laddove, durante una conferenza stampa, ha affermato che i livelli di eterozigosi, pur essendo stabili, possono destare preoccupazione a tal punto che la politica dovrà farsi carico di un “rinsanguamento” (termine in uso tra i cacciatori per indicare l’introduzione di nuovi individui all’interno di piccole popolazioni animali i cui membri si sono più volte incrociati tra consanguinei, il che significa che prima o poi bisognerà andare a prendere degli altri orsi in Slovenia)11. Una preoccupazione condivisa da non pochi esperti12. Questo lungo excursus mi è servito per dimostrare che una riduzione numerica della colonia di orsi presenti sulle Alpi italiane, dal momento che la stessa risulta completamente isolata dalle comunità vicine, con numerosi casi di consanguineità, potrebbe portare a una sua improvvisa estinzione anche considerando la notevole frammentazione del territorio in cui dimorano gli orsi13.

Come si può facilmente capire da quanto fin qui esposto, il problema degli orsi non è di facile risoluzione o quantomeno, le ipotesi avanzate non sono percorribili. I politici locali ne sono ben consapevoli tanto è vero che alcuni di loro sono arrivati a sostenere che per risolvere la questione si deve chiudere il “Life Ursus” e per questo sono state indette feste di partito dove hanno servito carne d’orso, in umido e alla brace14, e successivamente sono stati lanciati appelli dagli spalti consiliari al grido di: “l’orso è buono: mangiatelo!”15. L’approccio sanguinario ha indubbiamente fatto presa sull’opinione pubblica e da quel momento è scoppiato un conflitto uomo-orso dove i toni esasperati hanno originato un circolo vizioso che ha spazzato via ogni forma di ragionamento con fenomeni di delegittimazione dell’avversario, in questo caso l’orso, che ricordano periodi della nostra storia particolarmente cupi. Si è scritto che gli orsi dovevano essere “deportati”. Si è affermato che l’orso M49 andava “condannato all’ergastolo”. Le parole più ricorrenti che appaiono sui giornali sono: paura, pericolo, terrore, ronda, allerta, sono troppi, situazione critica, progetto fuori controllo. Se due cacciatori sono aggrediti da un orso, il Primario che li cura non li definisce “feriti”, ma “vittime”. Un clima da guerra civile insomma. L’aspetto “interessante” (dal punto di vista narratologico) è rappresentato dai racconti di cronaca dove l’orso forza la porta di una roulotte, insegue ciclisti e podisti, cerca di entrare in una casa dopo aver rotto una finestra a colpi di zampa o, ancor peggio, tenta di fermare un’auto in corsa come se fosse un T-Rex di Jurassic Park. Il confine tra il reale e l’immaginario cinematografico si assottiglia. La conseguenza più che scontata non tarda a palesarsi: “L’orso colpisce in sogno, donna finisce all’ospedale” titola il quotidiano l’Adige. Una signora, durante la cena ha ascoltato attentamente i racconti di alcuni amici sugli orsi e sui lupi che scorrazzano nei boschi trentini. Una volta tornata a casa, dopo essersi coricata, ha sognato un orso, si è spaventata ed è caduta dal letto incrinandosi una costola. L’avvenimento si guadagna le prime pagine dei giornali16.

Basta questo episodio per dimostrare che le reiterate campagne stampa sulla pericolosità dei plantigradi hanno determinato un clima di isteria collettiva (opinione peraltro condivisa da Michel Pastoreau, uno dei più grandi storici francesi viventi17 tale per cui a scadenze regolari si decide di rinchiudere o abbattere un capro espiatorio per sedare gli animi. In una Nazione dove l’autorevolezza delle Istituzioni è scesa ai minimi termini, dove le scelte dipendono dai mercati o dalla Comunità Europea, diventa indispensabile per i politici trovare un anello debole da spezzare per manifestare il proprio potere. Serve, insomma, una vittima sacrificale da immolare sul patibolo del consenso. Un animale dai forti connotati simbolici come l’orso si presta perfettamente a diventare l’oggetto del martirio e delle più folli divagazioni complottiste che lo accompagnano sui social: l’orso è il “cavallo di troia” con cui si vuole minare l’autonomia Trentina. L’orso è stato reintrodotto, senza ascoltare le popolazioni locali, per distruggere l’economia montana, per far fuggire i turisti, per impedire ai trentini di godersi i boschi, per spaventare gli scolari che non possono più giocare nel giardino della scuola. L’orso è da sempre un animale ambivalente, buono e cattivo allo stesso tempo. Cammina sulle quattro zampe, ma quando incontra un uomo si alza su quelle posteriori elevandosi al grado umano. Così facendo mortifica il raziocinio umano, ragion per cui, stando sempre a Pastoreau, “sfugge all’aspetto che dovrebbe avere” sottraendosi “al suo stato naturale che rispetta l’ordine voluto dal Creatore. Trasgredire quest’ordine è un atto violento che attira necessariamente l’attenzione18 e merita, di conseguenza, una punizione esemplare. Del resto, se durante le cacce medievali, così ben descritte da Pastoreau, uccidere un orso era lecito, ai giorni nostri è un reato penale blandamente perseguito. La caccia si consuma sulle pagine dei giornali e sugli schermi della tv e nessun politico finirà mai in galera per aver ordinato di sparare ad un animale protetto quale è l’orso. Il popolo lo vuole morto e nessuna forza politica, da destra a sinistra, ritiene vantaggioso difenderlo. L’orso è quindi colpevole di esistere, a prescindere dalle sue azioni. Tanto è vero che il Pacobace (N. d. R. il piano di gestione degli orsi) prevede di attuare il protocollo “K”, e cioè l’abbattimento, anche quando l’orso risulta essere stato “provocato” da qualcuno19. Come rileva la Professoressa di Diritto Penale dell’Università di Bologna, Désirée Fondaroli nel suo saggio dedicato al Pacobace, persino nei processi medievali gli animali inquisiti, maiali, asini, gatti, ma anche insetti, erano assistiti da un avvocato difensore20. Un diritto negato agli orsi. D’altronde le indagini sono condotte sbrigativamente, tanto più che, alla fin fine, la dinamica dei fatti non ricopre particolare importanza21. Hanno continuato a considerare l’orso M49 pericoloso malgrado non abbia ferito nessuno durante un anno di latitanza. In tutti gli altri casi, dove invece si è verificato un contatto fisico tra l’uomo e l’orso, poco o nulla è cambiato. Non importa se l’aggredito fosse in compagnia di un cane libero che può aver stanato l’orso riconducendolo al padrone. Non importa se l’orsa stesse difendendo i suoi cuccioli da un intruso. Non importa se è stato sventolato un bastone in aria urlando e neanche se l’orsa si è presa una bastonata in faccia prima ancora di aver alzato una zampa. Se niente importa, l’orso è condannato con formula piena prima ancora che si apra il processo, sicché tanto vale non processarlo e porre fine alla sua esistenza in quattro e quattr’otto.

Il Trentino Marketing ha calcolato il valore dell’orso scoprendo che è capace di attrarre spazio sui media in maniera magnetica. La nascita di un orsetto bianco, subito soprannominato “lo spirito del Trentino”, ha fatto guadagnare alla provincia tridentina uno spazio su giornali e televisioni, che se fosse stato comprato, sarebbe costato 360 mila euro. Un solo orso vale quanto la metà della copertura ottenuta della Juventus in ritiro a Pinzolo22. Questo per dire che superando le paure ancestrali che possono travolgere talune persone, l’orso è capace di scatenare l’immaginazione sia in un senso che in un altro. L’orso evoca luoghi edenici, sorgenti dalle quali sgorga acqua cristallina, boschi incontaminati. Viene quindi da chiedersi, se ci troviamo al cospetto di un valore aggiunto di così grande importanza per il turismo, chi è che non lo vuole sfruttare. Sono forse gli stessi che aizzano i politici e arringano le folle sulle pubbliche piazze? Si, sono loro, quelli che occupano lo stesso spazio dell’orso: pecore, capre, vacche, i loro allevatori, gli apicoltori, i frutticoltori e le rispettive associazioni di categoria. La stessa Europa che ha promosso la reintroduzione dei plantigradi in Italia finanzia anche la pastorizia in alta montagna. Chi possiede gli alpeggi, non sempre dispone degli animali e per questo chiede ad altri di far pascolare pecore e vacche sulle proprie terre. A lungo andare si è sviluppato un florido mercato che ruota intorno ai contributi, agli alpeggi e al reperimento degli animali. Non sempre gli allevatori coinvolti sono pastori, o possiedono le competenze necessarie per gestire una mandria al pascolo, e la presenza dell’orso di certo non li aiuta. È pur vero che i tafani, i burroni scoscesi e i fulmini che cadono all’improvviso, fanno più vittime dell’orso23, ma quest’ultimo resta l’unico nefasto evento naturale che può essere eliminato. Il famoso anello debole di cui si è già accennato è invocato tanto dai politici, quanto dagli stakeholder. Non puoi impedire al fulmine di cadere, non puoi impedire al tafano di pungere, non puoi vietare alla grande distribuzione di pagarti il latte un’elemosina. Ma sparare all’orso – quello sì! – lo puoi chiedere. Inoltre, la Comunità Europea eroga i contributi a fondo perduto per monticare gli animali senza chiedere alcuna rendicontazione. Perciò, le risorse economiche comunitarie che andrebbero spese – anche! – per innalzare recinti, mantenere cani da guardiania, costruire ricoveri notturni per gli animali, possono essere impiegate in tutt’altro modo, come raccontato in un’inchiesta di Mauro Fattor. E coloro che evitano di spendere i contributi per far fronte a orsi (e lupi) si recano in pellegrinaggio dai politici chiedendo che siano le Autorità stesse a risolvere il “problema” con abbattimenti o catture24.

Un’eccessiva presenza di animali in alpeggio ha le sue controindicazioni. Concentrando le prede, presto o tardi, arriveranno i predatori. Predatori che non sono per nulla conosciuti dagli animali domestici che prima di essere portati in montagna sono stati cresciuti in pianura, al chiuso di una stalla o, ancor peggio, in un allevamento intensivo. Sono poche le mucche appartenenti alle antiche razze che sapevano muoversi in montagna, percepivano il predatore e sapevano fronteggiarlo. All’aumentare degli animali allevati in alpeggio è stata introdotta la figura di “orso dannoso” e cioè un orso che provoca ripetuti danni alle attività economiche. Se un orso si guadagna questa nomea, nel giro di pochi mesi sarà “rimosso”, un eufemismo col quale si intende dire che sarà abbattuto o chiuso per sempre in un recinto. Mi chiedo come lo Stato italiano abbia potuto permettere una cosa del genere. Non si può porre sullo stesso piano un patrimonio economico, per esempio un frutteto, e un orso. Da una parte abbiamo un insieme di piante selezionate dall’uomo riproducibili all’infinito, dall’altro un animale protetto presente in un esiguo numero di esemplari sulle Alpi italiane. La figura dell’orso dannoso nega i principi più elementari della biologia della conservazione e svuota la parola “biodiversità” di ogni significato.

Quindi, per concludere, se c’è un colpevole che ha messo in crisi il Life Ursus, questo deve essere individuato in più fattori che sommandosi hanno originato una tempesta perfetta. L’assenza totale di politici a favore della presenza degli orsi ha indotto i partiti a promuovere azioni demagogiche poste in campo solamente per reperire facili consensi. Anche se i danni prodotti dagli orsi sono indennizzati, così come sono coperti i costi per realizzare i recinti elettrificati e mantenere i cani da guardiania, si continua imperterriti a rigettare la convivenza con i grandi carnivori invocando a gran voce il loro abbattimento. Alcuni media locali, sempre in cerca di contenuti e di emozioni forti da elargire al pubblico, cavalcano il dibattito enfatizzando ogni episodio e così facendo, inconsapevolmente o meno, buttano altra benzina sul fuoco acceso dai comitati anti-orso.

Dal momento che la risoluzione del problema risulta tutt’altro che facile, sorge il sospetto che si punterà sempre più ad una riduzione sistematica degli orsi con metodi sbrigativi e non del tutto trasparenti attuata nei confronti di una popolazione ursina che già oggi presenta delle serie criticità rispetto alla futura sopravvivenza25. Per questo bisognerà tenere alta l’attenzione ricordando l’appello di Oscar de Beaux, che pur essendo stato lanciato nel 1933, resta tuttora attuale: “Quando l’uomo sopprime in una data località una forma vivente per essa caratteristica, egli ha disposto in modo irrimediabile di una cosa che non era sua. Ha tolto ciò che non aveva dato e non potrà più restituire”.

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1 “L’impegno del parco per l’orso: il progetto Life Ursus”. Edito dal Parco Naturale Adamello Brenta. 2010. Una sorta di diario molto ben costruito che descrive tutte le fasi del progetto di reintroduzione.

2 Ibidem. Pag. 52. Progettare la reintroduzione, acquistare gli orsi dalla Slovenia, trasferirli in Italia e gestirli fino al 2000 è costato quasi un miliardo di vecchie lire. Gestirli dal 2001 al 2004 circa due miliardi di vecchie lire. A questi contributi ne sono seguiti altri di importi simili.

3 Mauro Manzin. Il Piccolo. 21 Giugno 2019. “Slovenia, il Parlamento di Lubiana vota l’uccisione di 200 orsi e 11 lupi”.

4 “L’impegno del parco per l’orso: il progetto Life Ursus” (da pag. 166 a pag. 172).

5 Davide Celli “Catturate Kj2, viva o morta” (https://www.youtube.com/watch?v=E6CA28eaZQk).

6 Duprè E., Genovesi P., Pedrotti L. “Studio di Fattibilità per la reintroduzione dell’orso bruno (Ursus Arctos) sulle Alpi centrali”, Volume 105, anno 2000. Edito dall’Istituto Nazionale Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi”. Si tratta del progetto scientifico sulla base del quale sono stati ottenuti i finanziamenti della Comunità europea. In esso è indicato tutto ciò di cui bisogna tenere conto quando si insedia una popolazione di orsi, dal numero degli stessi ai territori di cui devono disporre. Uno strumento indispensabile se si vuole capire se tutto ciò che è stato prescritto è stato effettivamente attuato. Lascio giudicare al lettore, che può reperire il volume in tutte le biblioteche pubbliche o recuperarne alcuni frammenti in rete.

7 Ibidem. Pag. 49. Al paragrafo “Modello di presenza potenziale dell’orso”, si trova scritto: “in base alle considerazioni precedentemente esposte in merito alla superficie necessaria per sostenere una popolazione minima vitale (1350-3000 km2), l’area individuata appare appena sufficiente. Se però si includono le aree scarsamente votate (idonee da un punto di vista ambientale ma con eccessivo disturbo) si arriva ad una superficie di quasi 4 mila km2 e quindi a un territorio di estensione ben superiore al limite minimo individuato. Tenendo conto della densità di riferimento ritenuta possibile, 2-3 orsi/100 km2, ne deriva che l’area di studio sarebbe in grado di mantenere una popolazione di 34/51 orso o di 79/118 orsi se si includono le aree scarsamente vocate”. Questo passaggio è dirimente, dimostra che il successo del progetto di reintroduzione era legato sostanzialmente a due fattori: al numero degli orsi e all’estensione dell’habitat a loro disposizione. E per territorio vocato alla loro presenza si intende sia l’habitat naturale (boschi di latifoglie e conifere) sia l’assenza di attività umane. I territori votati sono risultati appena sufficienti, ragion per cui si consiglia di annettere altri frequentati dall’uomo in quanto il numero di orsi (34/51), determinato dall’estensione dello spazio disponibile, risulta “appena sufficiente”. Il progetto si fondava quindi sulla creazione di una possibile convivenza tra l’orso e l’uomo.

8 Ibidem. Pag. 51. “Tuttavia l’estensione dell’area di distribuzione potenziale e la consistenza raggiungibile della popolazione si presentano vicino ai valori minimi accettabili. Tale popolazione avrà quindi buone probabilità di sopravvivere nel lungo periodo solo se sarà possibile un’ulteriore espansione e l’instaurarsi di un flusso genico con altre popolazioni che potrebbero svilupparsi ad occidente dell’area considerata o raggiungere il Trentino occidentale seguendo il naturale fenomeno di espansione territoriale”.

9 Carlo Consiglio. “Diana e Minerva. Una critica scientifica della caccia”. Editore Borla. 1990.

10 Maddalena di Tollan Deflorian. Trentino. Costume e società. Rapporto Orso 2016: “Venendo al possibile futuro della popolazione, si registra l’impoverimento genetico (con una riduzione del 12% in oltre 10 anni), dovuto al perdurare dell’isolamento genetico della popolazione e alla sua ridotta dimensione. Si parla in termini tecnici di “ridotta eterozigosi”, che però – si legge nel rapporto – è ancora considerata minimale dai tecnici della Provincia, di conseguenza è stimata ancora buona la variabilità genetica. Di fatto però nei discorsi dietro le quinte questo tema è un fattore di preoccupazione per i biologi”.

11 Davide Celli “L’orso M49 e la verità” https://www.youtube.com/watch?v=NlYKZoV_7Gs

12 Si citano solo testi di facile reperimento, come esempio e in numero limitato, evitando il lungo elenco di pubblicazioni scientifiche che riguardano il tema del rapporto insito tra il numero minimo di individui che forma una popolazione animale e l’impoverimento genetico. Thomas M. Smith e Robert Leo Smith. “Elementi di ecologia”. Peason: “i modelli genetici indicano che, per i vertebrati, popolazioni di dimensione pari o inferiore a 1000 individui sono vulnerabili e ad alto rischio estinzione”. Pat Shipman, “Invasori”, Carrocci 2017: “Dal mio punto di vista, se si intende calcolare la sopravvivenza a lungo termine (allude ad una popolazione animale), 1000 individui potrebbero essere pochi, perché un evento casuale, una catastrofe o globale o un cambiamento di lieve entità potrebbe facilmente eliminarli”. Matteo Zeni. “In Nome dell’orso”. Edizioni Il Piviere. 2016. Pag 217-218: “Il caso dell’orso bruno è emblematico. Per quanto, in determinati ambienti si continui a dire che ci sono troppi orsi e bisogna ridurli di numero, cinquanta, settanta o anche cento orsi che vivono in un nucleo isolato sono, dal punto di vista biologico, pochissimi. Basta poco a metterli in crisi e innescare un pericoloso tracollo demografico”. Renato Massa. “Il secolo della biodiversità”. Edizioni Jaka Book. 2005: “giustamente si asserisce che per conservare efficacemente una popolazione (allude a orsi grigi e leoni) è necessario conservare la sua capacità di evoluzione sia a breve sia a lungo termine, cioè fare in modo che essa possa subire continuamente la selezione naturale che, aumentando o almeno mantenendo alte le frequenze dei buoni geni adattativi, controbilancia i fenomeni di deriva genetica. Ciò significa, in generale, mantenere popolazioni su un ordine di grandezza di almeno alcune centinaia di individui”.

13 Corrado Battisti. “Frammentazione, connettività, reti ecologiche”. Provincia di Roma, 2004: “Riguardo ai grandi mammiferi, Posillico et al. (2002) sottolineano come nell’orso bruno (Ursus arctos) eventuali variazioni demografiche negative possono restare mascherate per anni a causa della durata della vita media, stimata in oltre 20 anni, e dell’ampio home-range di cui necessitano gli individui di questa specie. L’effetto “ritardo” mostra come la semplice presenza di determinate specie in paesaggi frammentati può non significare uno stato di conservazione favorevole ed una loro persistenza in tempi lunghi. Come affermato da Mace et al. (2001) e da Tilman et al. (1994), le popolazioni di queste specie rappresentano un “debito di estinzione” (extinction debt), ovvero un futuro costo ecologico che dovrà essere considerato e la cui intensità sarà proporzionale al grado di distruzione (e frammentazione) degli ambienti naturali. La distanza temporale che intercorre tra i due eventi di frammentazione-estinzione (causa-effetto) può, quindi, rivelarsi insidiosa per chi studia gli effetti del processo di frammentazione. La sola analisi della distribuzione spaziale per determinate specie sensibili può, infatti, portare ad una sottovalutazione di tali effetti, fornendo un falso senso di sicurezza e provocando errori di valutazione (Kareiva e Wennergren, 1995)”. Si veda su questo il piano di reintroduzione per valutare il grado frammentazione del territorio in cui sono stati allocati gli orsi.

14 Ansa. 1° luglio 2011. “Lega Nord, banchetto con carne d’orso”.

15 Trento Today. 14 giugno 2014. Passa la mozione anti-orso della lega. Giovanazzi (AT): In tempi di crisi la carne d’orso è buona. Giovanazzi: “Ho mangiato carne di orso, è buona”. http://www.trentotoday.it/politica/giovanazzi-carne-orso-trentino.html

16 L’Adige. 06/08/2017. L’orso colpisce in sogno, donna all’ospedale. https://www.ladige.it/territori/trento/2017/08/06/lorso-colpisce-sogno-donna-allospedale

17 Michel Pastoreau. “L’orso, storia di un re decaduto”. Einaudi. 2008. Pag.290: “In Francia – come nel Trentino italiano – i reinserimenti hanno suscitato violente discussioni, che si sono spinte in alcuni casi fino all’isteria collettiva. Alcuni avversari dell’orso hanno perso ogni senso della misura imputando all’animale danni che non è in grado di commettere (…); costoro difendono la loro posizione con argomenti assolutamente miseri rispetto all’importanza della posta in gioco”.

18 Michel Pastoreau. “Medioevo simbolico”. Editori Laterza. 2004.

19 Si vedano su questo le modifiche apportate al Pacobace (piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno sulle alpi centro-orientali), in particolare al capitolo 3, laddove nella tabella (punto 15) si scrive che un orso può essere abbattuto quando attacca per difendere i suoi piccoli, la propria preda o perché provocato in altro modo. Si consideri che tali modifiche, pur essendo in vigore, non compaiono all’interno delle versioni del Pacobace scaricabili on line. https://grandicarnivori.provincia.tn.it/content/download/12803/229650/version/1/file/modifica_pacobace_capitolo3.pdf

20 Désirée Fondaroli “Le nuove frontiere della colpa d’autore: l’orso problematico”. Archivio penale. 12 dicembre 2014. Sui processi agli animali nel medioevo si veda anche: Massimo Centini. “Le bestie del Diavolo”, Rusconi Editore.

21 Catturate Kj2 viva o morta.

22 “I Fogli dell’orso”. Parco Adamello Brenta. Novembre 2011. Si veda anche la vicenda dell’orsetto Knut nato allo Zoo di Berlino descritta da Roberto Franchini nel libro “Il secolo dell’orso”, Bompiani.

23 Giornale Trentino. “Diciotto mucche uccise da un fulmine”. 10 luglio 2015. Ibidem. Fabrizio Brida. “Sette vacche uccise da punture di insetto”. 21 giugno 2017.

24 Emblematica ed esaustiva è l’inchiesta pubblicata da Mauro Fattor sulle pagine del quotidiano “Alto Adige”: “Gli alpeggi d’oro e il lupo guastafeste”. 03 ottobre 2017 (https://www.altoadige.it/cronaca/bolzano/gli-alpeggi-d-oro-e-il-lupo-guastafeste-1.1338168).

25 Filippo Zibordi. “Gli orsi delle Alpi, chi sono e come vivono”. Blu edizioni. 2017: “nonostante gli incoraggianti dati di crescita, il nucleo di orsi delle alpi centrali è di piccole dimensioni, con un crescente tasso di mortalità occulta, e soprattutto rimane isolato: non è stata ancora documentata immigrazione (né tantomeno scambio genico) della popolazione dinaro-balcanica, com’era e com’è tuttora auspicabile. La conseguenza di tale isolamento riproduttivo è che la variabilità genetica è ridotta e presenta un rischio potenziale per i futuri sviluppi della popolazione stessa: a titolo esemplificativo basti pensare che tutti gli orsi presenti nelle zone sopra citate sono figli di due soli maschi, i fondatori sloveni Gasper e Joze.”

Davide Celli

Davide Celli

È nato a Bologna il 18 gennaio 1967, è attore e consulente per la comunicazione. Esordisce all’età di dieci anni nel mondo dello spettacolo lavorando con registi del calibro di Pupi Avati, Roberto Faenza e Gabriele Muccino. Nel 1989 è tra i protagonisti di “È proibito ballare” prima sit-com targata Rai. Artista poliedrico, si dedica anche alla realizzazione di vignette per il Corriere di Romagna, lavorando poi per rilevanti marchi italiani quali Coop Italia, Unipol, l’Albero Azzurro. Dopo la sua esperienza come consigliere comunale di Bologna, con il partito dei Verdi, scrive il libro “Scherzi cinesi. Breve storia a vignette di Sergio Cofferati, sindaco di Bologna, e del consiglio comunale 2004-2006” (edito Pendragon, pubblicato a marzo 2007) in cui sono raccolte le vignette create nei due anni di amministrazione.Dal 2014 segue le vicende che coinvolgono gli orsi trentini e realizza su questo tema due istant-movie: “Catturate KJ2 viva o morta” e “M49 e la verità”, entrambi visibili su YouTube.

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