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L’orso, meraviglioso e affascinante abitante del nostro pianeta, evolutosi così come lo conosciamo in un periodo che va dai 5,3 ai 4,5 milioni di anni fa, è presente nel mondo con diverse specie e sottospecie. È un animale schivo, timido e solitario, che la cultura popolare associa alla “tenerezza”, a causa del suo aspetto imponente ma bonario.

Di sicuro è un animale affascinante, ma quanti realmente conoscono l’orso nella sua etologia, oltre all’aspetto fisico?

In Italia è presente con due sottospecie, orso bruno (Ursus arctos arctos) e orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus). Quest’ultimo è presente con circa sessanta individui in una piccola porzione dell’Appennino centrale, luogo in cui non si è mai estinto; l’orso bruno alpino, al contrario, è frutto di reintroduzione.

Come afferma il Prof. Franco Tassi, storico Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo (dal 1969 al 2002), che durante la sua direzione portò avanti una serie di progetti per la tutela dell’orso marsicano1: «Gli orsi presenti in Italia non sono prevalentemente predatori, come ad esempio gli orsi polari; ciò significa che cacciano solo se la preda è di facile accesso. L’orso bruno è ad esempio più grande del marsicano; entrambi sono onnivori, ma tra i due l’orso bruno è un po’ più carnivoro e occasionalmente predatore, ovvero mangia più carne del marsicano, che tende invece ad essere più vegetariano. La dieta dell’orso è composta in prevalenza di vegetali, insetti e miele: il limitato consumo di carne si riferisce in particolare ad animali già morti». Questo tipo di comportamento selettivo nella scelta del cibo, è dovuto tanto all’ambiente in cui vive, ovvero alle risorse trofiche naturali (in primis vegetali e insetti), ma anche alla natura schiva e pacifica di questo animale (almeno per quanto concerne gli orsi presenti nel nostro Paese).

Secondo il Prof. Tassi, «L’orso passa l’inverno in un sonno che non è un vero e proprio letargo, periodo in cui non si nutre. Dall’inizio della primavera, ha come scopo principale il nutrirsi per mettere su grasso in funzione dell’inverno successivo. Il suo fine è accumulare calorie, cercando di non disperderne troppe nella ricerca di cibo, motivo per cui si concentra su alimenti di facile reperibilità. La caccia, per un animale solitario di tale mole, non è impresa facile e richiede un gran dispendio di energia, con il rischio ulteriore che non vada a buon fine. Pensiamo, ad esempio, agli ungulati dotati di corna o zanne, in grado di ferire un predatore in maniera seria; inoltre, se quest’ultimo è un animale solitario proprio come l’orso, l’approvvigionamento delle risorse si fa decisamente più complicato. Inoltre il plantigrado non è un animale particolarmente agile nella corsa, come può essere un lupo; altresì è dotato di una pessima vista, motivo per cui si mette in piedi quando non riesce a distinguere qualcosa o qualcuno davanti a lui. Olfatto e udito sono invece ben sviluppati, quanto mai utili per reperire cibo.

Ecco perché i nostri orsi non possono definirsi dei veri e propri predatori, giacché attaccano altri animali specialmente laddove sussiste un notevole sbilanciamento di forze (come ad esempio le galline all’interno di un pollaio). Ciò non toglie, però, che l’orso possa avere un comportamento predatorio, soprattutto se l’individuo adocchiato risulta a breve distanza».

Come accennato in precedenza, l’orso è un animale solitario, schivo e timido, curioso soprattutto in giovane età, poco tollerante nei confronti di individui della stessa specie, tranne nel periodo degli amori o nel caso di femmine in compagnia dei propri piccoli. Il plantigrado è particolarmente infastidito da coloro che invadono quella che può essere definita la sua “zona intima”, ovvero quell’area in prossimità del corpo che normalmente viene concessa solo a individui verso cui nutre fiducia. La “zona intima” appartiene a ogni individuo del regno animale – anche a noi esseri umani – e la sua ampiezza è variabile e individuale. L’orso è inoltre un animale “territoriale”, nel senso che nutre un particolare attaccamento nei confronti del suo “spazio vitale”, vale a dire verso quelle zone ricche di cibo o prossime alla sua tana.

A questo punto, probabilmente molti si staranno chiedendo quali sono i comportamenti da tenere in caso di incontri con l’orso. Sicuramente la prima cosa da fare è mantenere la distanza di almeno trecento metri, necessaria a non disturbarlo o spaventarlo, ma utile anche a evitare di incorrere in spiacevoli inconvenienti: come qualunque animale (ma noi umani non siamo da meno), in una situazione di stress o di percezione del pericolo per sé o per la propria prole (verso cui le femmine sono molto protettive), può diventare pericoloso. E se invece dovesse capitare di incontrarlo improvvisamente su un sentiero durante un’escursione? Si agisce per gradi, imparando quali sono le giuste tecniche per affrontare un incontro ravvicinato in modo da non lasciarsi sopraffare dalla paura, che, se mal gestita, potrebbe causare incidenti poco piacevoli.

La prima cosa che non bisogna dimenticare quando si va in una zona presenziata dagli orsi, è quella di fare un po’ di rumore. Si può ad esempio parlare (non urlare), canticchiare, fischiettare, farsi sentire, insomma, per dare modo all’orso eventualmente nelle vicinanze di sentirci e andare via.

Se invece dovesse capitarvi di incontrare il plantigrado lungo il vostro sentiero, la primissima cosa da fare è cambiare percorso lentamente in maniera da lasciargli spazio, e proferire nel frattempo parole a bassa voce con tono calmo, senza correre o dargli le spalle; a tal proposito in Abruzzo, nella zona del parco nazionale, vi è un detto che recita: “ti conviene cambiar percorso se per caso incontri l’orso”.

Ma non sempre si ha la possibilità di cambiare strada; in questi casi il miglior comportamento è quello di spostarsi sul lato opposto del sentiero, sempre lentamente, e soprattutto senza urlare, sbracciarsi o guardare il plantigrado negli occhi, che nel suo linguaggio equivale a una minaccia. Un orso impaurito, che si sente invaso eccessivamente nella sua zona intima, potrebbe a sua volta minacciare, soprattutto se non riesce a percepire vie di fuga. In realtà si tratta di una strategia volta ad avvisare l’individuo di non avvicinarsi ulteriormente: consiste in un “finto attacco”, ovvero in un balzo in avanti con le zampe anteriori puntate. Un’altra azione che può essere pericolosa è la classica “zampata”, pericolosa perché le grandi unghie possono facilmente lesionare la nostra pelle. In effetti l’orso usa molto le zampe, sia per mangiare, sia per spostare oggetti e ispezionarli. L’orso non ha artigli retrattili, di conseguenza un’azione volta a spostare un oggetto per curiosità o per toglierlo dinanzi al suo cammino, potrebbe essere potenzialmente pericolosa per noi umani, se l’oggetto in questione siamo noi. Tra i consigli c’è anche quello di non arrampicarsi sugli alberi nel tentativo di fuggire, in quanto il plantigrado è un ottimo arrampicatore. In genere tutte queste azioni, se eseguite correttamente, fanno sì che l’incontro ravvicinato con un orso si concluda senza nessun incidente. Tuttavia, nel caso dovessimo inciampare, potrebbe succedere che l’orso finisca sopra di noi, magari solo per curiosità oppure perché spaventato. Qualora ci trovassimo con un orso che ci sovrasta, il comportamento da adottare è mettersi in posizione fetale (con gambe rannicchiate per proteggere gli organi vitali) e le braccia atte a coprire la testa. Occorre altresì respirare lentamente, non guardarlo negli occhi, non gridare e restare immobili, come a voler fingersi morti. Queste tecniche sono il miglior modo per imparare a gestire la paura e per far sì che l’esperienza dell’incontro ravvicinato con l’orso resti qualcosa di positivo, tanto per noi, quanto per l’animale. Superfluo ricordare che il plantigrado non va rincorso per avere una foto a tutti i costi, che non deve essere assolutamente alimentato dall’uomo e che non si deve mai dire in tempo reale dove è stato avvistato (attenzione anche alle foto pubblicate sui social media!).

Cuccioli di Amarena, l’orsa di Villalago (AQ). Foto di Alessandro Picchio. Simbiosi Magazine Orso marsicano rapporto uomo natura aspis

Cuccioli di Amarena, l’orsa di Villalago (AQ). Foto di Alessandro Picchio.

L’Abruzzo, zona di origine dell’orso bruno marsicano e nello specifico l’area del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, è quasi sicuramente l’unica zona in Italia in cui l’orso è realmente conosciuto da coloro che vi abitano, non essendoci mai state interruzioni culturali. In queste zone non si è mai estinto e di conseguenza non si è persa l’abitudine alla convivenza da parte della popolazione locale. Ciò significa che la cultura legata all’orso, antica e millenaria, non si è mai estinta: e infatti gli abitanti del luogo nutrono nei suoi confronti un senso di profondo rispetto. L’orso marsicano, riconosciuto specie protetta dopo la nascita dell’allora Parco Nazionale d’Abruzzo (istituito nel 1922), è al momento una delle specie al mondo a maggior rischio di estinzione. Da allora il parco si è mobilitato con strumenti normativi di salvaguardia, prima limitando e poi proibendo la caccia, che fino ad allora era permessa a nobili e persone di “alto rango”. Una delle azioni più “popolari” a favore del marsicano, che negli anni è stata incentivata e mai contrastata, è l’uso dei cani da pecora abruzzesi (o mastini abruzzesi), una sorta di “arma bianca” a tutela dell’economia pastorale. Ma tante altre sono le azioni messe in campo dal parco per tutelare l’orso, in primis l’educazione dei turisti. Quest’ultima può sembrare banale, ma in realtà è una delle più importanti: le cause antropiche, siano esse dirette (bracconaggio) o indirette (malattie, incidenti, investimenti, etc.), rappresentano le maggiori cause di morte del plantigrado. Gli orsi bruni marsicani sono in numero esiguo e la morte anche di un solo individuo, soprattutto se femmina, costituisce un grave danno per la specie: è stato calcolato che per rimpiazzare la perdita di una femmina occorrono circa dodici anni.

Infine la crescente attenzione mediatica nei confronti dell’orso ha fatto aumentare il numero dei visitatori nel lasso di tempo che va dalla primavera all’autunno: un periodo delicatissimo, che coincide con gli accoppiamenti, la cura della prole e la ricerca di cibo. Negli ultimi anni si è pertanto resa necessaria un’azione di controllo, di informazione e di educazione rivolta ai turisti, molto spesso inconsapevoli delle loro azioni. Nel 2019, ad esempio, l’inseguimento in auto di una femmina costò la vita a un cucciolo!

Spesso ci si chiede cosa si può fare concretamente per l’orso e ci si immagina imprese di chissà quale portata, quando invece bastano buon senso e responsabilità. Da qualche anno a questa parte ha preso piede un nuovo tipo di turismo, il “bear watching”, che consiste in escursioni volte all’osservazione degli orsi. Molte persone credono che non ci sia nulla di male nel guardare e fotografare un orso, pur se da lontano. Molti affermano che il plantigrado sembra tranquillo, che non si allontana, che continua a svolgere le sue attività abituali. Ma questo quadretto (apparentemente) idilliaco è molto diverso dalla realtà: anche quando pensiamo di essere abbastanza distanti, l’orso è perfettamente conscio della nostra presenza. Le reazioni a un disturbo di tal fatta potrebbero essere dannose e comportare lo spostamento in aree meno favorevoli o pericolose, l’insorgenza di fattori di stress tali da ridurre l’assimilazione del cibo, o cambi di abitudini e comportamenti.

A tal proposito, viene da chiedersi cosa impareranno i cuccioli di un’orsa intenti a cibarsi in presenza di un gran numero di esseri umani: il problema, in altri termini, è che pian piano gli orsi si abituano alla presenza dell’uomo e iniziano a mostrare comportamenti confidenti. Tuttavia, come ricordato poc’anzi, un orso che acquisisce queste abitudini è più esposto a rischi di investimento, bracconaggio e mortalità accidentale. Ciò non significa che un orso non possa essere mai fotografato o osservato, ma che è sempre opportuno valutare la situazione e soppesare le possibili conseguenze.

Se si vuol bene all’orso, non lo si deve esporre a un’assidua presenza umana. Se è lui stesso a farlo, occorre compiere non uno, ma mille passi indietro.

In breve, dovremmo essere degli attenti custodi: difensori gelosi e conservatori attenti.

 


 

Foto di copertina: Maschio adulto di orso marsicano di Antonio Macioce.

1 Si citano, a titolo esemplificativo, la “Campagna alimentare”, l’“Operazione in bocca all’orso” e il “Progetto mela-orso”.

 


 

Articolo tratto dal Volume 1 di Simbiosi, puoi acquistarlo qui.

Carla La Barbera

Carla La Barbera

Carla La Barbera nasce a Latina il 23 maggio 1975, da madre insegnante e padre pilota di elicotteri e diplomatico, entrambi grandi amanti della natura e degli animali. La sua formazione è prevalentemente in ambito comportamentale e comunicativo, sia nello studio di animali domestici e selvatici, sia nella sfera umana, in quanto da sempre appassionata di comunicazione non verbale. Questo la spinge negli anni a studiare la Lis (Lingua dei segni italiana) e la cultura sorda nonché a formarsi come educatrice cinofila con approccio cognitivo-zooantropologico. Dalla tenera età mostra una particolare curiosità verso il mondo naturale, con particolare riguardo ai coleotteri. Negli anni a seguire si interessa di animali domestici e di selvatici considerati “antipatici” o “pericolosi” dalla cultura popolare: insetti, pipistrelli, rettili e lupi. Proprio la grande passione per il lupo la spinge a trasferirsi a Pescasseroli, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, dove vive per oltre 10 anni. In quel meraviglioso parco, ancora bambina, vede per la prima volta lupi e cani da pecora abruzzesi (o mastini abruzzesi), divenuti in seguito i suoi soggetti di studio prediletti, insieme alla cultura pastorale di cui fanno parte. Negli anni a Pescasseroli si dedica prevalentemente alla loro osservazione, ma anche ai cavalli e alla cultura equestre. Negli anni in Abruzzo si concentra altresì su diversi progetti e iniziative legate alla tutela e alla conservazione della fauna selvatica, rivolgendo un occhio particolare a lupi e orsi marsicani. Recentemente tornata a Latina, porta avanti le sue ricerche sui lupi e la cultura pastorale, collaborando dal 2017 con il Prof. Franco Tassi, storico Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo. Attualmente svolge ricerche naturalistiche nel territorio pontino, tra il Parco Nazionale del Circeo e i Monti Lepini.

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