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(Tratto dal Volume 1 di Simbiosi. Puoi acquistarlo da qui.)

 

Il nome dell’orso in greco antico è arktos, un sostantivo di dibattuta etimologia che ha paralleli in varie lingue indo-europee, tra cui l’avestico arša-, l’armento arj, e il latino ursus. Come è spesso il caso con i nomi di animale in greco antico, uno stesso termine è utilizzato sia per il maschile sia femminile e la distinzione tra ‘orso’ e ‘orsa’ è fatta solamente tramite l’articolo che precede arktos o le concordanze degli aggettivi che qualificano il nome. In greco antico, i contesti in cui compare arktos spaziano però ben oltre l’ambito meramente zoologico e l’importanza dell’animale risulta di particolare rilievo nella sfera rituale, mitologica, ed astronomica. 

La spiegazione fornita alla voce arktos nei lessici bizantini, ad esempio, recita “l’animale e la sacerdotessa di Artemide”. Se la relazione etimologica tra arktos e Artemide risulta tutt’ora alquanto controversa, il ruolo di primo piano che ha l’orsa in varie fasi del culto della dea è invece ben documentato da numerose associazioni ampiamente diffuse in varie zone del territorio greco. Nel mito di Atalanta, la figlia del re dell’Arcadia abbandonata su un monte dal padre che avrebbe voluto un maschio, Artemide manda alla neonata un’orsa che se ne prenda cura allattandola e allevandola (questa parte del mito conferma, indirettamente, che anche nella Grecia antica i monti erano l’habitat naturale dell’orso). Ancora in Arcadia, regione notoriamente montuosa i cui abitanti si connotano come ‘orsi’, si colloca il mito di Callisto, ninfa e ancella di Artemide che Zeus trasformò in orsa per nasconderla a Hera. Inoltre, sacrifici di orsi in onore di Artemide sono registrati a Patrasso (capoluogo dell’Acaia, unità periferica della Grecia occidentale, la cui antica acropoli era collocata sulla montagna Panachaikos, dove ora si erge un imponente castello bizantino risalente al VI secolo d.C.), e nei pressi di Cizico era attestato l’orononimo Monte degli Orsi (altra conferma dell’habitat dell’animale). La fonte principale del legame tra Artemide e l’orsa rimane tuttavia il culto brauronio. Tra i numerosi santuari della dea collocati in tutta la Grecia, il sito di Brauron in Attica è uno dei più famosi e importanti. Qui aveva luogo l’arkteia, un rituale eseguito dalle arktoi ‘orse’, fanciulle ateniesi iniziate ad Artemide che imitavano le sembianze e le movenze dell’animale. La dea presiedeva tutte le transizioni biologiche femminili, dall’età prepuberale al parto, e le arktoi che partecipavano al rituale si mettevano sotto la protezione della dea nel periodo di transizione tra il menarca e il matrimonio. Nell’arkteia, le ragazze ‘facevano le orse’, ossia drammatizzavano l’identificazione con l’animale eseguendo danze che riproducevano i movimenti dell’orsa

(figura 1)

(figura 2)

 Le sembianze animalesche erano invece assunte tramite una maschera (Figura 1), come mostrano per esempio alcune raffigurazioni su vasi ateniesi (dove sono tuttavia indossate da due adulti: una sacerdotessa e un sacerdote di Brauron), e il krokotos, una veste color zafferano (krokos è lo ‘zafferano’ in greco antico) che doveva probabilmente evocare il colore del pelo dell’orsa (Figura 2) e che veniva gettata via nella parte finale del rituale, forse a simbolizzare la maturazione dell’iniziata (nella vita reale, il vero e proprio abbandono del krokotos coincideva con il raggiungimento della maturità sessuale e dell’età adulta). 

In astronomia, con Orsa Maggiore (nome latino: Ursa Major) si intende una costellazione del cielo settentrionale le cui sette stelle più luminose sono raggruppate nel Grande Carro, un asterismo noto da tempi antichissimi e che venne presto associato all’immagine di un orso inseguito da tre cacciatori (Figura 3).

 Secondo il mito, l’eziologia di questo gruppo di stelle è collegata alla sopra indicata Callisto. Zeus infatti, per nascondere Callisto alla gelosia di Hera, trasformò la ninfa in un’orsa. Hera però realizzò l’inganno del marito e incaricò Artemide di uccidere Callisto, incinta di Zeus. Quando Callisto morì, il catasterismo a lei dedicato trasformò Callisto nella costellazione dell’Orsa Maggiore e il frutto del suo amore incestuoso con Zeus, suo figlio Arcade, nell’Orsa Minore (nome latino: Ursa Minor). Hera però, infuriata per il fatto che Callisto e Arcade fossero ascesi in cielo, fece in modo di scagliare una maledizione contro le due costellazioni, che furono quindi costrette a girare in eterno nel cielo senza tramontare mai sotto l’orizzonte: così gli antichi spiegavano questi astri circumpolari. 

Oltre a essere l’animale eponimo delle costellazioni di Orsa Maggiore e Orsa Minore, l’orso ha un ruolo di primo piano anche in altre questioni strettamente legate ad esse. Innanzi tutto, è da arktos che derivano i nomi ‘Artide’ e ‘Antartide’, nonché gli aggettivi ‘artico’ e ‘antartico’. Il termine ‘artico’ viene infatti dal greco arktikos, un derivato del sostantivo arktos ‘orso’, che letteralmente significa ‘vicino all’Orsa’ ed esprime quindi il concetto di ‘settentrionale, a Nord’ in quanto ‘vicino all’Orsa’ (in questo contesto, con ‘Orsa’ si intende sia l’Orsa Maggiore, visibile nell’emisfero boreale, sia l’Orsa Minore, di cui fa parte la stella polare). Anche ‘antartico’ deriva dal greco antico, questa volta con la preposizione anti ‘opposto’ premessa ad arktikos: antarktikos significa dunque, letteralmente, ‘opposto alla parte settentrionale’ e quindi ‘meridionale, a Sud, nell’emisfero australe’. Inoltre, Arturo (nome latino: Arcturus), la stella più luminosa della costellazione del Boötes (Figura 3) e la quarta stella più luminosa del cielo, deve il suo nome a un composto costruito con il nome greco dell’orso arktos e del ‘guardiano’ ouros: Arturo è infatti Arkt-ouros ‘il guardiano dell’orsa’, per via della sua posizione a Sud del Grande Carro. Arturo è facilmente rintracciabile anche ad occhio nudo, in virtù – oltre che della grande luminosità – del caratteristico colore arancione (un ulteriore riferimento all’orso tramite la somiglianza cromatica tra la tonalità della stella e quella del pelo dell’animale?). È inoltre particolarmente interessante il fatto che nell’emisfero boreale Arturo si possa osservare con facilità da febbraio a settembre: l’assenza di Arturo nel cielo settentrionale coincide in gran parte con il (cosiddetto) letargo dell’orso. 

L’orso ha lasciato una traccia anche in un altro luogo insospettabile: la celeberrima e pluripremiata saga di Harry Potter. Fratello del più famoso Sirius, Regulus Arcturus Black ha per nome non una ma ben due stelle. Se è vero che all’interno della famiglia Black è prassi nota e consolidata dare nomi di stelle o di costellazioni ai propri membri, è anche vero che J. K. Rowling non usa con frequenza il doppio nome per un personaggio, e ancora più raramente lo cita usando ogni volta tutti i nomi: il fatto che Regulus Arcturus Black sia costantemente chiamato con entrambi i nomi deve avere un significato preciso. Nella saga, Regulus Arcturus muore in giovane età e in circostanze misteriose. Contrariamente alle apparenze, è proprio la morte a farne un eroe, dato che con questo sacrificio estremo, frutto di un enorme rischio che ha deliberatamente scelto di correre per un bene superiore e non per un guadagno personale, si riscatta dalle scelte infelici e dalle azioni turpi commesse in precedenza. Se è la fine a rivelarci l’uomo, i nomi Regulus e Arcturus avrebbero potuto costituire già da prima preziosi alleati per gli appassionati più attenti. Mentre molto è stato detto sull’uso di Regulus come antroponimo e sulle qualità di coraggio e abnegazione che si celano dietro il nome della stella e della costellazione a cui appartiene, sono rimasti meno esplorati i significati del secondo nome Arcturus. Il titolo di ‘guardiano’ ben si addice infatti a colui che ha cercato di proteggere e salvaguardare il bene a costo della propria stessa vita. Inoltre, come Regulus Arcturus ha avuto una vita contraddittoria, anche l’orso ha, fin dai tempi della Grecia antica, una natura contrastante, quasi doppia nell’immaginario collettivo. Da un lato c’è l’aspetto feroce e brutale, la forza guerriera che lacera e dilania, la belva che semina morte e distruzione (Regulus Arcturus Black è stato un Mangiamorte). Dall’altro c’è l’aspetto materno, che si riscontra nel mito di Atalanta allevata dall’orsa inviatale da Artemide o nel rituale brauronio in cui le iniziate ‘facevano l’orsa’ per ricevere la protezione della dea (Regulus Arcturus Black si è sacrificato per proteggere gli innocenti). 

È non di meno l’aspetto materno, protettivo, e di simpatico golosone a rendere l’orso protagonista di fiabe e cartoni per bambini (basti pensare all’Orso Yoghi, Winnie the Pooh, Riccioli d’oro e i tre orsi) e a farne uno dei soggetti preferiti per peluche (teddy bear e orsacchiotti). È questo lo stesso principio in base al quale nel linguaggio soprattutto parlato ‘orso’ è una metafora per indicare, oltre che una precisa tipologia fisica maschile, una persona burbera (spesso più nell’apparenza che nella sostanza) o qualcuno grande e grosso (possibilmente anche con il vocione) e con il cuore d’oro.

L’uomo e l’orso si sono amati e in ugual misura temuti per secoli: è questa la tensione dialettica di quel meraviglioso ingranaggio chiamato Natura. 

 

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Rachele Pierini

Rachele Pierini

Rachele Pierini ha una Laurea in Lettere Classiche e un Dottorato di Ricerca in Filologia Classica e Linguistica Comparativa. È ricercatrice presso l’Università di Copenaghen (Marie Skłodowska-Curie Research Fellow) e in precedenza ha lavorato presso le Università di Harvard, Bologna, Cambridge e Madrid. Le sue ricerche riguardano le scritture egee dell’età del bronzo, lo sviluppo diacronico della lingua greca e le tecnologie antiche applicate alle piante. È autrice di numerosi articoli scientifici, saggi, monografie e volumi collettivi. Per il suo impegno di divulgazione è stata insignita del titolo di Ambasciatrice Culturale.

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