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Lo scorso 24 marzo la Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei Deputati ha approvato un parere con osservazioni al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnnr), esprimendosi favorevolmente rispetto alla proposta di

adeguare gli attuali limiti italiani sulle emissioni elettromagnetiche a quelli europei.

Questo potrebbe comportare, al termine dell’iter parlamentare, un aumento dei limiti di circa 10 volte (dagli attuali 6V/m a 61 V/m) e possibili conseguenze in termini di rischio sanitario.

Il limite considerevolmente più elevato in vigore in alcuni (ma non tutti) Paesi europei è basato sugli standard dell’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection (ICNIRP), un ente privato non-governativo. Tali standard hanno come fondamento l’assunto arbitrario della comparsa di effetti termici acuti (riscaldamento dei tessuti) in seguito ad esposizione a energia elettromagnetica come unici effetti sanitari possibili.

Gli standard ICNIRP ignorano un’enorme mole di evidenze scientifiche che dimostrano invece effetti biologici (non-termici) dal livello molecolare a quello sistemico, effetti secondari ad esposizioni croniche (non considerati dagli standard ICNIRP) e differenti vulnerabilità individuali (ad es. gravidanza, età evolutiva, presenza di polimorfismi genici predisponenti a patologia in caso di esposizione).

È ad esempio molto ben documentata la capacità dell’esposizione acuta e cronica a radiofrequenze di indurre stress ossidativo 1-9, un meccanismo alla base di numerose patologie non oncologiche e, in parte, della cancerogenesi, oltre a danni ossidativi alle basi azotate del DNA10. Queste alterazioni sono state messe in relazione ad aumentato rischio di patologie oncologiche e non oncologiche in maniera indipendente dall’effetto termico e compaiono anche per livelli di esposizione inferiori ai limiti ICNIRP11-21. In particolare, sono state identificate precise relazioni fisiopatologiche tra l’esposizione a campi elettromagnetici e alterazioni della riproduzione, malattie metaboliche e neurologiche, alterazioni microbiologiche e, non ultime, malattie neoplastiche di cellule di derivazione neuro-gliale e della tiroide 22-25.

Le evidenze scientifiche disponibili hanno giustificato, già in passato, l’adozione dei limiti normativi di esposizione attualmente vigenti in Italia. Studi più recenti hanno rafforzato i dubbi sulla reale capacità degli standard ICNIRP di tutelare la salute pubblica 26-28, anche grazie a numerosi contributi di tipo epidemiologico 29-32 e sperimentale (ad es. studi del National Toxicology Program in USA e, in Italia, dell’Istituto Ramazzini33-35).

Ulteriore elemento di rischio è l’inadeguatezza degli attuali strumenti di monitoraggio ambientale, che sono calibrati per i vecchi standard (3G-4G) ma non sono affatto idonei a valutare compiutamente esposizioni complesse derivanti dagli standard tecnologici che caratterizzano i networks 5G (combinazione di diversi range di frequenza che arriveranno sino alle onde millimetriche, small cells, MIMO, beamforming, sistemi dinamici di uplink/downlink, elevatissimo numero di devices di diversa tipologia etc).

Si ricorda che, secondo stime ufficiali AGCOM36, il network 5G vedrà connessi alla rete circa un milione di dispositivi per Km2, con incremento delle esposizioni globali e mediante utilizzo addizionale di frequenze (le onde millimetriche) mai utilizzate prima su così larga scala.

Già nel 2017 un gruppo internazionale di oltre 350 medici e scienziati (tra i quali numerosi ricercatori esperti in radiofrequenze) lanciava un appello alla prudenza rispetto alla prevista installazione della rete 5G, successivamente ripreso anche da autorevoli istituzioni internazionali.

Sarebbe opportuno ascoltare i richiami alla prudenza espressi, oltre che dal mondo scientifico, anche da organismi internazionali come lo Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks (SCHEER) della Commissione Europea, che nel suo ultimo rapporto, descrive come l’implementazione del network 5G possa comportare rischi addizionali per l’ambiente e per la salute umana che non andrebbero sottovalutati22.

Lo stesso Parlamento Europeo, in riferimento al 5G, sottolinea le incertezze sui possibili effetti ambientali e sanitari, la carente diffusione di informazioni adeguate sui rischi, il problema dei limiti normativi, il richiamo alla prudenza della European Environment Agency (EEA) e la possibile alternativa, più sostenibile, della fibra ottica.37

La normativa italiana, comunque da perfezionare in senso ulteriormente cautelativo, ha sino ad oggi consentito un livello maggiore di tutela sanitaria rispetto ad altri Paesi e, allo stesso tempo, ha garantito la piena operatività di radiotelefonia e network dati, nonostante gli ampi ritardi da recuperare in termini di diffusione della fibra nel nostro Paese.

La rincorsa alla realizzazione del network 5G attraverso l’abbattimento dei limiti normativi attuali e sulla sola spinta di interessi commerciali, in assenza di un adeguato piano normativo e di monitoraggio realmente in grado di tutelare la salute pubblica e ignorando le più rilevanti evidenze scientifiche disponibili, non appare giustificabile ed ha l’aspetto di un ingiustificabile azzardo.

Le evidenze disponibili avrebbero dovuto motivare un rapido e adeguato approfondimento scientifico preliminare alla proposta attuale di revisione dei limiti di esposizione.

L’abbattimento dell’unico strumento normativo (il limite dei 6V/m) ancora in grado di limitare, nel nostro Paese, l’esposizione a radiofrequenze e i rischi del network 5G non sembra andare nella direzione della tutela della salute pubblica. Ancora una volta sembra si stia decidendo di far pendere pesantemente la bilancia delle necessità di tutela dalla parte dell’industria e non da quella del bene comune.

 


 

 

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Agostino Di Ciaula

Agostino Di Ciaula

Specializzato in Medicina Interna, è da anni impegnato in attività assistenziali, didattiche e di ricerca biomedica in vari campi, compreso quello dei rapporti tra ambiente e salute. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche in lingua inglese su riviste internazionali. Collabora per attività di ricerca con Università Italiane ed estere. Relatore a numerosi convegni in ambito nazionale e internazionale e docente in eventi formativi post-laurea. È fellow del Collegium Ramazzini e Presidente del comitato scientifico di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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