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(Tratto dal Volume 0 di Simbiosi. Puoi acquistarlo da qui.)

Lo sai quando l’ho capito che la Forestale era morta? Più o meno una decina d’anni fa, quando ci fu una grossa alluvione nella mia zona. Ero lì a darmi da fare nelle frazioni di montagna, quando mi arriva l’ordine tassativo di scendere a valle, dove un ponte era stato chiuso al traffico in vicinanza della cittadina più popolosa e conosciuta della valle. Siete matti, ho risposto? A valle sono già al lavoro i vigili, le forze dell’ordine, perfino la Finanza mentre qui ci sono solo io con la mia Campagnola, e nelle frazioni e nelle fattorie isolate c’è gente che ha bisogno di me…Beh, non c’è stato niente da fare, mi è toccato scendere a valle! Il massimo risultato operativo è stato farmi riprendere dalle telecamere insieme agli altri corpi, per far circolare il marchio della Forestale in TV…

Inutile raccontare il mio disagio, e l’incazzo, quando dopo qualche giorno i miei montanari, che fino ad allora avevano sempre potuto contare su di me, mi han chiesto dove fossi sparito.

Queste parole di Alberto, un ex-Forestale transitato ai Carabinieri e ormai prossimo alla pensione, raccolte sotto vincolo di anonimato, congelano in un istante un processo durato decenni e che sta per giungere a compimento sotto i nostri occhi: l’abbandono del bosco pubblico da parte dello Stato.

Addio Cfs

Il primo passo indietro risale agli anni ‘50, nell’euforia del boom economico, quando le sanzioni penali per chi danneggiava le foreste vennero sostituite con più morbide sanzioni amministrative. Seguì nel 1985, con la legge Galasso, un timido passo nella direzione opposta con l’introduzione del vincolo paesaggistico e relative sanzioni, che – insieme al vincolo idrogeologico fissato dalla legge del 1923 e a vincoli “ambientali” sempre più blandi e circoscritti – costituisce oggi l’unica, precaria difesa contro gli abusi di un’industria selvicolturale che ha perso ogni legame con i territori.

Da allora in poi, complice anche la progressiva “invasione di campo” da parte delle Regioni, abbiamo assistito a una costante ritirata dello Stato mentre l’industria del legno si faceva sempre più aggressiva e il punto di vista estrattivista guadagnava posizioni presso i vari organi legislativi nazionali e locali e perfino all’interno della comunità accademica, per non parlare delle organizzazioni professionali degli agronomi.

“Dal 2004 – continua Alberto – in coincidenza con alcuni mutamenti ai vertici, il Corpo Forestale ha via via abbandonato la sua vocazione di corpo territoriale, la sua vicinanza fisica ai territori montani che erano il suo storico insediamento, per trasformarsi via via in un corpo di polizia ambientale, più attento agli abbandoni di rifiuti che alla vigilanza del sistema-foresta e alla vicinanza costante con i “montanari”, da sempre alla base della storia e dell’identità del Corpo”.

Il processo ha poi subito l’accelerazione definitiva con lo smembramento del Corpo forestale dello Stato e la dispersione del personale fra Carabinieri (con una militarizzazione forzata incredibilmente avallata dalla Corte Costituzionale come “non irragionevole” contemperazione fra diritti costituzionali ed esigenze di bilancio!), Vigili del Fuoco e altre istituzioni, con la perdita definitiva delle professionalità più importanti: dai DOS (direttori delle operazioni di spegnimento, alla cui scomparsa dobbiamo la tragica “estate di fuoco” del 2017), fino ai responsabili della gestione della fauna selvatica e del censimento degli Alberi Monumentali.

Doverosa parentesi: di fatto, oggi, gli unici alberi che ancora godono di una qualche forma di tutela sono da una parte gli ulivi e le sughere, in virtù del loro potenziale commerciale (e con l’incognita della legislazione emergenziale contro il disseccamento degli ulivi in Salento, che ha già consentito la mattanza di migliaia di alberi monumentali sanissimi), e dall’altra parte proprio i pochissimi alberi iscritti nell’apposito Registro degli Alberi Monumentali, che è di fatto abbandonato a se stesso dopo lo smembramento del Cfs, mentre i Comuni, che dovrebbero alimentarlo con le loro segnalazioni, spesso non lo fanno o lo fanno solo in parte (anche in questo caso la Puglia dà il cattivo esempio, avendo omesso di segnalare i singoli ulivi monumentali in contesti di uliveti antichi con il risultato che non esiste un solo ulivo monumentale censito/protetto in gran parte del Salento!).

Tornando a noi, lo smembramento/soppressione del Cfs è una storia costellata di colpi di mano parlamentari, baratti politici e perfino piccole vendette di qualche piccolo potente che un giorno, forse, qualcuno racconterà: ma la soddisfazione di scoprire qualche altarino sarà allora ben misera, di fronte al patrimonio nazionale che la sciagurata “riforma Madia” ha ormai irrimediabilmente danneggiato. E non parliamo solo delle competenze scomparse, del danno erariale per il disarmo de facto della flotta degli elicotteri o del danno ambientale che si andrà accumulando: parliamo soprattutto del patrimonio umano dei montanari, cari ad Alberto e anche a noi che scriviamo e leggiamo questa rivista, per i quali l’abbandono anche fisico da parte dei Forestali – con la maggior parte dei presidi montani cancellati o trasferiti in pianura, nelle preesistenti strutture dei CC – è solo l’ultimo segnale, dopo gli uffici postali chiusi, le scuole e gli ospedali accorpati, i trasporti mortificati, di una ingloriosa ritirata dello Stato.

In questo scenario non aumenta solo il rischio di incendi, o la tentazione di piccoli abusi (anche “di necessità”) da parte delle stesse popolazioni rurali: di fronte a un’economia locale impoverita e marginalizzata è inevitabile l’irruzione del cartello delle biomasse, gonfio degli incentivi sciaguratamente concessi in sede europea e pronto a conquistare il consenso delle popolazioni locali, o perlomeno di molti amministratori, con metodi che vanno dall’ingannevole promessa di lauti guadagni (che non sono certo destinati a restare sul territorio) fino alle vere e proprie intimidazioni di stampo mafioso, come nel caso della Sila calabrese ma anche di insospettabili realtà del Centro-Nord.

Sono vicende queste su cui indaga la Magistratura, anche grazie all’abnegazione di investigatori e funzionari pubblici che finiscono spesso con il pagare – loro – di persona le proprie denunce con trasferimenti punitivi o addirittura con la pubblica gogna, come è accaduto all’ex-dirigente calabrese della Protezione Civile Carlo Tansi. E per un’indagine che parte, non si contano gli abusi e i veri e propri delitti contro il bosco, l’ambiente e la salute che restano impuniti.

Inoltre, “per avere una condanna penale bisogna proprio che uno rada al suolo un intero bosco” spiega amareggiato Giacomo, un altro ex-forestale: “anche violazioni gravissime delle prescrizioni, nell’ambito di attività formalmente autorizzate, finiscono derubricate a semplici illeciti amministrativi, con sanzioni assolutamente ridicole”. Proprio in questi giorni, le vicende della pineta di Procoio nel Lazio (“sequestro preventivo” avvenuto quando i tagli abusivi erano pressoché conclusi) e della strage di pini di via Mascagni a Grosseto, portata avanti dal Sindaco in piena stagione di nidificazione nonostante una piccola sollevazione popolare e molteplici denunce, confermano il suo pessimismo (N.B. Se vedete motoseghe in azione sotto casa noi vi invitiamo lo stesso a insistere per le vie legali, seguendo i consigli del GrIG a pagina 107 e magari chiedendo a chi vi rispondesse in modo evasivo di qualificarsi in vista di eventuali futuri esposti).

Foresta? No, Filiera!

Ad aggravare ulteriormente il quadro, nel 2018 arriva il nuovo Testo Unico delle Foreste e Filiere forestali (TUFF), un decreto legislativo che già dal nome degrada il Superindividuo-foresta a un inerte serbatoio di materie prime. Ancora una volta, il provvedimento è imposto con un incredibile colpo di mano politico-istituzionale, a Parlamento sciolto e Governo dimissionario: soltanto nella procedura di approvazione, senza entrare nel merito dei contenuti, il Vicepresidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena individuò all’epoca ben sei violazioni costituzionali.

Nel frattempo, su pressioni del MIPAAF, sta per terminare l’iter dei decreti attuativi (i primi 4, su 9, sono quasi pronti e conterrebbero ulteriori, preoccupanti “innovazioni” in tema di strade forestali e uso dei macchinari di taglio ed esbosco).

Completando il capovolgimento a 360° delle politiche forestali – dalla gestione e conservazione del patrimonio al mero sfruttamento delle risorse – il TUFF non soltanto minaccia di svendere per sempre le nostre foreste, ma arriva a negare vari diritti costituzionalmente garantiti, a partire da quello alla proprietà.

Mettiti nei panni di Franco Pedrotti: a 80 anni suonati, dopo una vita passata a diventare il più grande botanico italiano nonché biologo, biogeografo, geoarchitetto, etc., scegli di donare al mondo una Foresta vetusta destinata a crescere nella tua proprietà, in un angolo incontaminato delle nostre montagne: una riserva integrale destinata a garantire aria e acqua pulita per le future generazioni? Bello e…impossibile, secondo il TUFF! Anche in una proprietà privata, è infatti previsto l’obbligo di “coltivazione” del bosco (eufemismo per “fare legna”) secondo piani di sfruttamento da attivare a livello regionale. Il decreto trasforma addirittura l’intervallo minimo previsto fra i tagli di ceduazione in una scadenza, con il risultato pratico di raddoppiare la frequenza dei tagli!

La (inutile) rivolta degli scienziati

Per elencare gli altri punti critici del TUFF, riporto qui quella che ne è la migliore sintesi, contenuta in una lettera aperta spedita (purtroppo inutilmente) al Presidente Mattarella da 264 professori universitari di botanica, zoologia, ecologia e geologia (fra cui alcuni nostri collaboratori):

Il D.Lgs promuove la “valorizzazione energetica” del bosco, una fonte energetica inefficiente, e favorisce il taglio incondizionato e sistematico del bosco. La promulgazione del D.Lgs produrrà:

danni al patrimonio ambientale

  • promozione di un insostenibile processo di consumo e degradazione del territorio
  • danno al patrimonio boschivo e ambientale italiano (…)
  • degrado di importanti servizi ambientali, come la depurazione dell’aria, la regolazione del regime idrico, la conservazione del suolo e della biodiversità
  • aumento delle emissioni nette di gas a effetto serra, data l’inefficienza energetica del processo

danni alla salute dei cittadini

  • aumento dell’inquinamento atmosferico, sia per il venir meno dell’azione depurativa dell’aria operata dalle piante, che per aumento di combustione di biomassa: già oggi il nostro paese è sotto procedura di infrazione da parte dell’UE per la cattiva qualità dell’aria (…)
  • rischio che il proliferare incontrollato di tali impianti porti alla combustione di materiale pericoloso per la salute pubblica
  • perdita di spazi verdi e/o naturali, fruibili dai cittadini e importante fonte di salute e benessere psicofisico

danni all’economia

  • spreco di preziose risorse economiche (denaro pubblico) in attività che sono energeticamente inefficienti, come provato da decenni, da dettagliati lavori scientifici svolti dai maggiori esperti di energia
  • le stesse risorse economiche potrebbero essere usate per fini più utili come gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo di fonti energetiche più sostenibili e nell’aumento dell’efficienza energetica
  • danni al capitale naturale e ai servizi ambientali a cui tale capitale provvede
  • perdita di attività economiche veramente sostenibili come l’ecoturismo

La richiesta di un dibattito pubblico, prima e dopo la promulgazione del TUFF, non ha ricevuto risposta: possiamo almeno sperare che le più macroscopiche violazioni costituzionali verranno al momento opportuno sollevate, e risolte dalla Corte Costituzionale in modo, stavolta sì, “non irragionevole”? Almeno il diritto alla proprietà, se non quello alla salute, dovrebbe risultare prevalente sulle smanie dei “segaioli”: noi, per il momento, speriamo…ma intanto il TUFF ha già incoraggiato buona parte delle Regioni a innovare in peggio la legislazione locale.

Il sottobosco, “combustibile” da eliminare

Le nuove leggi regionali e relativi regolamenti, in continua produzione e aggiornamento fin dagli anni ‘90, riguardano soprattutto i terreni privati e disciplinano a livello regionale quelle che un tempo erano le “prescrizioni di massima di Polizia forestale” elaborate all’interno del Cfs con il contributo dell’esperienza maturata sul campo dai Forestali montanari. La situazione varia da regione a regione, ma le nuove leggi approvate di volta in volta sono sempre più ispirate al criterio estrattivista e lasciano le porte spalancate agli abusi.

È il caso dell’ennesima revisione in via di approvazione in Sardegna, in piena emergenza-virus, che prevede una deroga al divieto di conversione del bosco ad alto fusto in bosco governato a ceduo, e altre norme sulla raccolta per uso familiare che rischiano di incoraggiare gli abusi.

Anche molti recenti provvedimenti della Regione Toscana stanno rovesciando la tradizionale politica di tutela/gestione del bosco: nei nuovi piani antincendio sono previsti addirittura diradamenti massicci, e la sostanziale eliminazione del sottobosco e relativa fauna, con il pretesto di sottrarre “combustibile” agli incendi!

Anche le aree più tutelate sono sempre più sotto l’attacco delle motoseghe: l’Ente Terre Regionali Toscane, una società in house della Regione Toscana, pretende da tutti gli enti gestori dei boschi pubblici un “profitto da gestione forestale” che va dai 1000 euro del Comune di Orbetello ai 500 mila euro l’anno delle preziosissime Foreste Casentinesi, dove centinaia di ettari di bosco si stanno volatilizzando nel bel mezzo delle aree che ancora godono della tutela nazionale integrale.

Ogni anno (ma per quanto ancora?) milioni di euro vengono destinati ad alimentare il circuito perverso delle biomasse: cifre folli, che impongono – nolenti o, spesso, volenti – agli enti territoriali una gestione liquidatoria, e non certo “economica” come l’Ente vuole far credere, della risorsa forestale.

Il saccheggio dei nostri boschi non si arresterà se non dopo aver invertito questa tendenza al peggioramento della legislazione: purtroppo, la scarsa considerazione di cui godono le nostre montagne, e il mondo rurale in genere, nelle menti dei legislatori, la defezione di forze ambientaliste in nome di un malinteso concetto di “energia rinnovabile” e infine la scarsa o nulla attenzione dei media (salvo poi precipitarsi in massa, dopo le alluvioni o le frane post-disboscamento, a raccontare il dolore di chi c’è rimasto sotto) stanno lì a dirci quanto sia ripida la salita che abbiamo davanti.

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Oleopaticus

Oleopaticus

Nato negli anni '60, ha passato buona parte dell'infanzia dribblando ulivi nel tentativo di migliorare il palleggio: sforzo inutile e ben presto abbandonato, di cui resta oggi un rapporto di fratellanza con gli ulivi che si è via via esteso a tutti i nostri amici con le radici. Ha studiato la storia della Scienza, dei suoi rapporti con il Potere, dei suoi cambi di paradigma passati e di quelli auspicabili per il futuro. Dopo un'esperienza nella Polizia Giudiziaria ha continuato ad occuparsi di questioni ambientali/scientifiche (ma anche, nel tempo, di varia umanità: dai serial killers ai giovani talenti artistici) come giornalista. Dalle pagine di Simbiosi gli piacerebbe avviare qualche riflessione sull'inquinamento delle parole, ovvero su come certi artifici linguistici e certi stereotipi veicolati da stampa e tv siano determinanti - al netto delle censure vere e proprie - per influenzare l'opinione pubblica, e sui meccanismi narrativi alternativi che possono aiutarci a (ri)portare la voce degli alberi all'orecchio dei potenti e al cuore delle persone.

One Comment

  • Jacopo ha detto:

    Dove è possibile trovare il testo integrale della lettera aperta al Presidente? Non riesco a trovarlo da nessuna parte.
    Grazie!

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