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(Tratto dal Volume 0 di Simbiosi. Puoi acquistarlo da qui.)

Se in Italia le tesi ambientaliste sembrano riscuotere scarso seguito presso l’opinione pubblica, sia sul piano politico (nonostante vuoti proclami più in sintonia col greenwashing), sia su quello della copertura mediatica, esse sono da inquadrare pressoché esclusivamente nel solco della cosiddetta “ecologia di superficie”.

Già perché secondo il filosofo norvegese Arne Næss (1912-2009) – noto alle cronache per essersi fatto incatenare alle rocce di una cascata in dissenso rispetto a nuovi progetti idroelettrici – è possibile distinguere due grossi filoni in seno alla proposta ecologista: di gran lunga più diffuso è quello citato poc’anzi, decisamente antropocentrico e che non intacca la posizione di preminenza dell’essere umano sulle altre specie (concezione, quest’ultima, mutuata in buona sostanza dalle religioni abramitiche). Se ne ricava l’ormai noto ossimoro dello “sviluppo sostenibile”, saldamente ancorato al paradigma di una crescita che si assume infinita, in un pianeta caratterizzato, al contrario, da finitezza. Come afferma Kenneth Boulding in un’affermazione paradossale divenuta celebre, «Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista».

All’“ecologia di superficie” si contrappone pertanto l’“ecologia profonda” (Næss, 1973), che non è un distillato di consigli pratici su come differenziare i rifiuti o compensare le emissioni di CO2, ma un paradigma filosofico-scientifico di dirompente e radicale pregnanza. Non già una fuga nell’irrazionale, quanto un solido edificio con i piedi ben piantati in assunti soggetti a verifica sperimentale, i cui frutti iniziano a maturare già verso i primi del ‘900.

Se è Næss a codificarne compiutamente il proprium filosofico, si deve a un forestale americano, Aldo Leopold, l’invito, risalente al 1949, a «pensare come una montagna», vale a dire a identificarsi in maniera integrale con un mondo caratterizzato da sistemi complessi e interdipendenti, in cui non c’è spazio per solipsismi di sorta. Ne consegue, anche con certo scalpore da parte degli ecologisti più radicali, che Leopold fosse un gran cacciatore (sebbene l’ipotesi di una presunta e posteriore “svolta” sia fortemente dibattuta): ora, al di là del fatto che l’ecologia profonda non coincide in toto con il pensiero di Leopold e che «pensare come una montagna» può condurre a un deciso rifiuto della caccia (valga su tutti il principio dell’ahisā, la non violenza verso tutte le forme di vita, attribuzione precipua del pensiero indiano), si può dire, in ogni caso, che non vi sia particolare sintonia con le tesi animaliste, dal momento che esse si focalizzano solo su una parte – quella animale – dell’Ecosistema.

Quanto ai caratteri fondamentali, l’ecologia profonda rovescia la piramide che pone l’uomo al vertice, signore e possessore della Natura, per sostituirla con un continuum orizzontale che assegna il primato alla vita nell’accezione più larga del termine (biocentrismo), e non a questa o a quella specie.

Centrale è il concetto di «sé ecologico», che lungi dal rimandare a qualsiasi forma di ego individuale, sancisce l’integrazione dell’umano nella ricca comunità degli esseri in cui pulsa la vita, in cui occorre inserire, a buon diritto, “persino” le rocce: l’equivalenza tra sé e universo sancita dal Vedānta indiano è dietro l’angolo.

Parimenti significa considerare l’interconnessione e l’interdipendenza tra tutte le cose: un concetto, quest’ultimo, dagli straordinari risvolti etici, esemplificabile con il celebre episodio buddhista della piramide umana, alla cui stabilità concorrono tutti in egual misura: se cade un solo elemento, il crollo è generale e non si salva nessuno. Ma si potrebbe citare, per restare sul fronte del dharma, il famoso passo del Sedakasutta: «O monaci, colui che si prende cura di se stesso si prende cura degli altri e colui che si prende cura degli altri si prende cura di se stesso». Cade, in altri termini, la distinzione “sé”-“alterità”: “io”sono l’“altro” e questi è una sola cosa con “me”.

E a cosa porta tutto ciò? A una amplificazione massima del principio di responsabilità, che consente di superare le angustie del «pregiudizio di generazione» (Demetrio Neri, 2013), che grava come il piombo sulle sorti del pensiero d’Occidente. Cosa vogliamo dire con questa espressione?

Che il metro di misura occidentale resta il contingente e l’immediato: di chi verrà dopo non è dato preoccuparsi. Le «magnifiche sorti e progressive» cui irrideva Leopardi – direttamente connesse alla caduta di un orizzonte mitico-simbolico e alla perdita dell’originaria condizione di debito che imponeva il ristabilimento dell’ordine cosmico mediante il sacrificio – ci impediscono di considerare adeguatamente il futuro delle prossime generazioni. L’ecologia profonda inverte questa china: ripristinare il concetto di debito è uno dei capisaldi del nuovo paradigma.

Altresì significa demolire uno dei cardini alla base della scienza occidentale cosiddetta “newtoniano-cartesiana”: il principio di non contraddizione.

Se in Occidente, fin da Aristotele, siamo abituati a pensare che una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto, con l’ecologia profonda entriamo in un ordine di idee per cui non esiste alcuna entità stabile e permanente (l’impermanenzaanicca – dei buddhisti), ma solo «una danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla» (Guido Dalla Casa).

Così facendo vengono meno tutti i dualismi che fondano il pensiero occidentale improntato a materialismo e individualismo, i quali trovano in Cartesio, con la separazione tra mente e materia (res cogitans res extensa), la sanzione intellettuale più celebre e nefasta.

Non è dunque possibile scindere l’osservatore dalla cosa osservata: un principio, quest’ultimo, di estremo rigore scientifico, formulato nel lontano 1927 dal fisico Werner Heisenberg, che va sotto il nome di “principio di indeterminazione”. Con quali conseguenze?

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Foto di Diego Infante

Se nulla è separabile, vengono meno i presupposti per una osservazione che si assume come esterna e distaccata, viatico della manipolazione di una materia divenuta “inerte”, giacché ogni cosa ha “valore in sé”, risultando irriducibile al parametro della quantificazione oggi imperante.

Tale paradigma «sistemico-olistico» smonta inoltre il concetto di creazione dal nulla (ex nihilo) – perno sui cui si fondano le religioni abramitiche – dacché il processo creativo è permanente e in continuo divenire. Una danza di energie perpetue che rimanda all’immagine altamente iconica dello Śiva danzante, creatore e distruttore di tutte le cose.

Nell’ecologia profonda, dunque, l’uomo, in quanto animale – qui emerge chiaramente il debito nei confronti dell’evoluzionismo darwiniano – percepisce in maniera chiara e netta di essere parte integrante di un qualcosa di più grande, cioè dell’intero Ecosistema.

Ne consegue che il tutto è qualcosa in più della somma delle parti – principio gestaltico –, il che si configura come l’esatto opposto del paradigma vigente improntato al riduzionismo: in base a quest’ultimo, il complesso viene scomposto in parti sempre più piccole, e la Natura rubricata a mero strumento della tracotante hybris umana.

L’ecologia profonda, per tutte queste ragioni, non può non aprire a un orizzonte spirituale, in particolar modo animistico-panteistico, con cui condivide buona parte dei propri assunti, sebbene molte siano anche le concordanze con il mondo orientale – specie vedantico-buddhista – laddove è da cogliersi l’unità che soggiace alla molteplicità, quest’ultima manifestazione visibile, per quanto transeunte, della prima, che permea di sé tutte le cose, dal più piccolo filo d’erba a noi esseri umani.

Dio pertanto non è “fuori” – proiezione astratta e dunque trascendente di quell’io ingannevole che gli orientali ci insegnano a tacitare – ma all’interno di ciascuna forma di vita.

Sul perché, nonostante le conferme sperimentali, l’ecologia profonda stenti a farsi largo nel panorama contemporaneo, rimandiamo all’intelligenza del lettore.

È quantomai palese, infatti, che tale capovolgimento di fronte sia così radicale da implicare la fine del pensiero unico tarato sulla crescita e, più in generale, la «messa tra parentesi» di husserliana memoria delle categorie dell’economia e del politico.

Con queste sconfortanti premesse, quali prospettive possono aprirsi?

Fin quando l’educazione sarà improntata al riduzionismo newtoniano-cartesiano e sarà quindi basata su un arido nozionismo nonché sulla competizione tra monadi isolate autosufficienti, lo status quo non potrà che essere preservato ad libitum.

Una conversione in senso esperienziale ed emozionale dell’istituzione scolastica rappresenta invece un’urgenza improcrastinabile, visto il baratro etico ed ecologico nel quale siamo piombati.

Da questo punto di vista, la sfida che ci si pone davanti è ardua, sebbene non impossibile (come insegna il Buddha, il pessimismo estremo, in quanto radicalità che esula dal giusto mezzo, non può avere diritto di cittadinanza): occorre pertanto che le migliori energie si impegnino con dedizione affinché le future generazioni riescano a sentirsi «parte di quel tutto di cui tutti siamo parte» (Nigel Warburton).

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Diego Infante

Diego Infante

Vicedirettore di Simbiosi Magazine, è nato nel 1987. Vive ad Avellino. Studia filosofia e arti dell’India (allievo della Dott.ssa Gloria Germani, autrice e studiosa del pensiero di Tiziano Terzani). Nel 2015 pubblica La ragione degli dèi, Italic & Pequod, cui segue nel 2018 Le ragioni del Buddha. In Asia centrale sulle tracce del buddhismo “d’Occidente”, Meltemi Editore. Suoi articoli sono apparsi sul Corriere dell’Irpinia, il Quotidiano del Sud, The Frontpage Post, Quaderni Asiatici, Filosofia in movimento. Gestisce un proprio spazio blog sulla piattaforma Long Term Economy, dedicata ai temi ambientali. Dal 2019 è referente per la regione Campania dell’associazione ambientalista RAMI (Registro degli Alberi Monumentali Italiani). Nell’ottobre dello stesso anno, insieme ad altri promotori, lancia su change.org la petizione “Foreste italiane: un patrimonio inestimabile sotto attacco”, che attualmente ha raccolto oltre 84.000 firme. In corso di completamento gli studi di filosofia presso l’Università degli Studi di Salerno.

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